Time to stand and stare?
What is this life if, full of care, / We have no time to stand and stare…
In giardino, da marzo a settembre, c’è talmente tanto da fare che davvero si rischia di obliterare l’invito del poeta a sostare e guardare. Oggi ho avuto – è un’eccezione – diverse ore da dedicare al giardino. Tra un’incombenza e l’altra, però, ho sostato e osservato, memore di quei versi. Il fiore che beve il sole cullato dalla brezza, l’ape che entra ronzante in una corolla e ne esce inzaccherata di polline, la lucertola che sguscia da un antro e si crogiola al caldo; ma anche il vaso sbrecciato, la terra smossa, il buco in terra, la foglia butterata: non vedo che bellezza intorno a me, in questi pochi metri di caos vegetale.
In un grande vaso a cassetta, di volgare plastica, si schiudono i fiordalisi, seminati a ottobre.
Ovunque è un brulicare di insetti, ragni, piccoli rettili. Ecco due ospiti immortalati.
Lungo un bordo di cemento si è ormai bene espansa Phlox subulata, in tre colori (fuxia, malva pallido, bianco).
Sono belli i fiori selezionati, seminati, ripicchettati, trapiantati, concimati, innaffiati; ma sono belli anche quelli che fanno tutto da sé, come le molte specie del mio arazzo fiorito, ove pure sono un po’ soverchi i gialli squillanti dei tarassachi – un grido di gioia.
Sono meravigliosi, certi nomi volgari di fiori, un po’ in tutte le lingue. Purtroppo, io stesso abuso del nome latino italianizzato, di solito del genere, talora della specie, appiattendo e neutralizzando tutta la densità storica, poetica, popolare, fitoalimurgica del nome volgare. Allora Campanula medium si fa banale campanula (e non ammiccante giulietta), Dahlia resta dalia (e non è giorgina), Aquilegia è solo aquilegia (e non colombina), Bergenia perde solo la maiuscola (e non è giuseppina)… Si potrebbe molto continuare, ma mi si sono per caso inanellati tutti nomi leziosi da vecchia zia giardiniera.
Ecco qui sotto, a proposito, le mie colombine, nate da seme, ora al secondo anno. All’ombra luminosa hanno finalmente trovato requie e un loro ubi consistam (consistant?).
Ci sarebbero millanta altre cose da fotografare. Ma il tempo deficita. Per elencare solo quello cui ho atteso oggi: diserbo manuale; innaffiatura dei vasi; divisione e trapianto di alcuni cespi di settembrini (sarebbe un po’ tardi, ma sono robusti e tollerano ogni strapazzo); semina di Cobaea scandens; ramazzata di foglie e semi del ligustro; lotta manuale contro cavallette, bruchi e criocere del giglio; vangatura di un fazzolettino di terra; eliminazione delle foglie più deturpate delle malvarose (Puccinia malvacearum impazza e furoreggia!); controllo del vicino con la coda dell’occhio (onde evitare che diserbi con veleni il marcipiedi di fronte a casa, dove sono nati da sé papaveri, speronelle, calendule, lobularie, papaveri della California…).
Ecco però un ultimo scatto: una delle tante piantine nate in crepe e fessure, in questo caso una bocca di leone.
michi
Che meraviglia.. Viene proprio voglia di sedersi al sole e godere della pace e della tranquillità che poco altro oltre alla Natura sa offrire.. Grande Alberto!
alberto
Grazie Michi!
Il primo commento al blog! Hai rotto il ghiaccio, grazie mille!
Alberto
Anna
Uno spettacolo gli accostamenti di colori e la bellezza così spontanea che tu sai catturare così acutamente! Il profumo resta per l’immaginazione…
Bellissime anche le foto! Grazie per la condivisione caro Alberto!
alberto
Grazie a te, Anna!
A volte mi dico che il giardinaggio è un po’ un’occupazione oziosa da perdigiorno, specie se penso a quale contributo all’umanità danno persone come te… Però nel mio piccolo non solo non faccio del male a nessuno, ma nel coltivare il mio fazzoletto sento di migliorare anche il mio carattere. Sarei molto più intrattabile e meno umano senza…