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agosto 22, 2016
D’estate, col gran caldo, fa piacere sedere all’ombra di una di fiori odorata arbore amica (arbor è femminile). Nel mio caso non può che essere l’ombra di una Magnolia grandiflora, unico albero d’alto fusto del giardino. A esser precisi, in questi giorni la fioritura è bella che esaurita da un po’, sicché di fiori odorata si può magari riferire ad altre fioriture che spandono odori grevi e sensuali, come le petunie un po’ passite dalla calura, o qualche rosa sparuta che tenta di rifiorire, o ancora le belle di notte, se è prima mattina o tardo pomeriggio.
C’è da dire, però, che di rado il giardiniere siede all’ombra, ozioso, a godersi i frutti di cure e fatiche. Sùbito scorge una foglia accartocciata o ingiallita da spiccare, qualche macchia sospetta da analizzare più da presso, una pianta in vaso bisognosa di un’innaffiatura di soccorso. Ed ecco allora, soverchia, l’ansia di agire, intervenire, irregimentare, risolvere – pena un forte senso di colpa per omissione ai propri doveri.
Siamo qui, credo, alla base e al cuore della dicotomia propria del fare giardinaggio. Sono due modi di essere, due atteggiamenti, due approcci entro i quali si oscilla. Da un lato la non azione fukuokiana-gandhiana, il giardinaggio terapeutico, lo zen o lo yoga in giardino, la pace e il rispetto, il senso di armonia, l’appagamento, i ritmi atavici e rasserenanti, l’accettazione del limite e del caso, la ripetitività che guarisce, la contemplazione del bello; dall’altro l’ansia da prestazione, lo zappare indefessi per espiare l’esistere, l’urgenza di agire, la sindrome da check list, la natura da domare e ridurre alla ragione, l’ammazzarsi di fatica a séguito di rabbiose frustrazioni, l’imperativo borghese il faut cultiver notre jardin. Dove mi colloco? Ineluttabilmente abbarbicato al pendolo che dondola tra un opposto e l’altro, nella massima incoerenza e altalenanza. Senza contare che talora abdico cedendo a un’apatia rassegnata, per esempio di fronte ai geli e alle nebbie invernali.
Divagazioni pseudofilosofiche a parte, resta assodato che panche, seggiole, gazebi sono prerogativa, in giardino, più degli ospiti che dei giardinieri. Resta altresì, e in parentesi, assodato che Magnolia grandiflora (eccezion fatta per ‘Little Gem’ e altre recenti creazioni) è inadatta ai piccoli giardini e che quando ce la si ritrova sul groppone in eredità restano solo due strade da battere: potarla drasticamente, vedendola ridotta a tarpato moncherino, o eliminarla. Da me è frequente nei piccoli giardini, e ogni due anni i vicini la potano a cono; così ho fatto anch’io, ma penso che la eliminerò del tutto. D’accordo: sono piante maestose ed eleganti, forti e resistenti. Ma stanno bene nei grandi parchi, secondo me, dove si può lasciare che le foglie, che cadono copiose, si ammucchino indisturbate ai loro piedi.
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