Hortus Incomptus | alberto
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Ultimo atto di primavera e sipario

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Gaura lindheimeri ‘Passionate Blush’

Gaura su sfondo di Iberis, speronelle, papaveri della California

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Di nuovo Gaura in vaso

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Connubio rosa-bianco

Ho acquistato qualche esemplare di Gaura da piantare in vaso. Vedendola in auge nelle aiuole di città – ormai molto ben progettate, sicuramente da paesaggisti – mi dava l’impressione di pianta tenace e indistruttibile. Ho dovuto scoprire che in realtà, quando sistemata nelle ristrettezze di una vaso, a solatio, necessita di annaffiature abbondanti e quotidiane. Me le immaginavo quali piante sicure in caso di vacanza breve, da poter lasciare all’asciutto per qualche tempo. Invece: fortuna che di vacanze non ne faccio, perché se si dimentica una sola sessione di bagnatura, la pianta s’intristisce e le fioriture non si aprono. In ogni caso, da un bilancio complessivo Gaura lindheimeri esce vittoriosa per le sue molte virtù e la sua estrema bellezza. Non ho pentimenti. Ne vorrei altre, ovunque. A volte mi prende un’ubriacatura per questa o quella pianta, e me ne immagino allora distese, ammassi, cascate. Ecco: un giardino tutto di gaure – un gioco da bambini fatto di asticelle sottili infisse nel terreno con sospese miriadi di farfalle di carta velina.

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Esplosiva fioritura di ligustro, visitatissimo dalle api. Uno dei vicini mi dice: “Che bello, deve averlo potato con sapienza!”, un altro: “Quand’è che riduce un po’ questa foresta?” – quot capita tot sententiae

Primo piano di speronella annuale: qui da me sono tutte di questo bel blu-viola e si riseminano qua e là da sé; durano, con gli ultimi fiori, fino ad agosto! Adorate dai bombi

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Un po’ guerriera, quest’ape all’assalto: verrà accolta da un morbido ed elastico reticolo bianco-verde di nigelle

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Fioritura di sedum in giallo e di una sudafricana in fuxia; non ne ricordo, però, il nome: non è Delosperma

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Attenzione: bombo in fase di atterraggio!

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Portulaca: tra le poche piante che non semino e compro “pronte”, per averle presto fiorite in giardino; da me vengono prese d’assalto e quasi uccise dal ragnetto rosso, che combatto con bagnature delle foglie due volte al giorno, finché regredisce (di per sé sarebbero piante che amano il secco, ma l’ama pure il ragnetto!)

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Luce un po’ fredda, per questa (come per altre) foto: ahimè, si fotografa pioggia e lavoro permettendo, negli scampoli di tempo libero. Un mare di papaveri rossi (che stanno sfiorendo in progressione) e una giungla di spighe erette e superbe di umili speronelle

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Coreossidi (portate dal vento), fiordalisi, portulache, coriandolo e molto altro in quest’altro intrico vegetale

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Il primo  margheritone (portato dal vento: i vicini ne hanno un’intera bordura), in mezzo ai fiordalisi

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Enorme infiorescenza di ortensia: è più grande del vasetto in cui ho ricavato la talea (e ha fiorito sùbito dal primo anno!)

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Hydrangea arborescens  ‘Annabelle’ si accinge a fiorire

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Visioni d’insieme

Eccezionalmente, pubblicherò numerose foto in formato gigante, in questo post. Vuole essere un omaggio alla Natura, che mi ha regalato questa primavera una distesa di fiori variopinti sul lato sud del mio fazzoletto vegetale. La cosa è nata un po’ per caso: la maggior parte dei fiori si sono riseminati da sé dalla precedente stagione. I veri protagonisti (vedettes, direbbe Maria Gabriella Buccioli) sono i papaveri della California, che stanno fiorendo e rifiorendo indefessi da giorni, contenti di non ricevere innaffiature e di vivere di un terreno parco, non concimato. L’arancio non è un colore che gradisco in modo precipuo, ma devo dire che la texture vellutata di questi fiori è meravigliosa. Altri comprimari di quest’intrico multicolore sono le calendule, il coriandolo, i garofanini dei poeti, le coreossidi, i papaveri dei campi, i fiordalisi. Ondeggiano al vento, scintillano al sole, punteggiati di farfalle e altri insetti operosi. Un vero tripudio.

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Gioia e fatica

Dopo qualche ora di lavoro in giardino, a braccia conserte lascio spaziare lo sguardo all’intorno; sono accaldato e sento la stanchezza nelle membra. Mi accorgo che c’è altro da fare: a woman’s work is never done – and a gardener’s…. Tuttavia,  un senso di pienezza mi pervade: non è felicità, non è entusiasmo – solo semplice gioia. Res severa est verum gaudium... In effetti, è un senso rotondo di pacificazione col Tutto, privo di punte d’eccitazione. Un sentimento pacato, pieno, profondo; consapevole anche del male, del brutto, del non-finito ma con loro piena accettazione. Certo, siamo prima di tutto corpo e non nego che l’ossigenazione dopo l’esercizio in giardino abbia la sua parte nel dare alla mente questo senso nitido di armonia. Eppure prevale in questo momento la certezza di essere soprattutto spirito, che si fonde e si eleva su ogni cosa.

Ripongo gli attrezzi, rigenerato a nuova vita da un momento così fugace ma così denso di consapevolezza. Mi sovvengono dei versi, a frammenti. Vado a frugare in libreria, leggo e ritrovo nei versi il connubio gioia-fatica che sembra restare come condensato dopo una giornata di lavoro in giardino. Ovviamente, i paralleli sono esili, il contesto tutt’altro.

Der ist der Herr der Erde,/Wer ihre Tiefen misst/Und jeglicher Beschwerde/In ihrem Schoß vergisst.

E poi:

Er sieht ihr alle Tage/Mit neuer Liebe zu,/Und scheut nicht Fleiß und Plage;/Sie lässt ihm keine Ruh.

Proprio così: un rapporto d’amore, per certi versi anche tirannico ed esoso, ci lega alla terra quando vogliamo umanizzarla col nostro lavoro… Ma quanta gioia, quanta dedizione, quanta gratitudine!

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Altri accostamenti più o meno felici

Aiuola con alisso bianco, rosa ‘Marie Pavié’ e ‘Botticelli’; sullo sfondo Oxalis articulata (maledetta infestante!), altre rose, speronelle, peonie, portulaca (chi la vede??).

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Mi piace il connubio che si è creato da sé tra le pannocchie viola intenso delle speronelle e il bianco-verde dell’ortensia. Sarebbe ancora più bella una cortina scura d’edera al posto del nudo cemento grigio, ma tant’è…

Postilla: per “speronelle” intendo quelle annuali (Consolida ajacisDelphinium consolida), non i fiori del delfinio perenne.

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Stato dell’arte a metà mese

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Rosa inglese ‘Susan Williams-Ellis’ in vaso e, a fianco, una cortina di lussureggiante coriandolo nato da semi che ho gettato qua e là

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Rispetto ad altre rose inglesi, ha un portamento più eretto e composto; quasi esente da malattie, ma da me quel quasi significa argidi, macchia nera, cavallette…

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L’aiuola con papaveri, bocche di leone, giuliette – un’autentica giungla

Rose, speronelle, papaveri

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Papaveri della California: sono nati ovunque, un mare giallo-arancio

Rosa inglese in vaso ‘Princess Alexandra of Kent’ (fiori enormi e troppo penduli: spezzano i rami…); sullo sfondo: garofanini, iris e altre rose

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Fiordalisi

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Deutzia, credo: era già qui in giardino…

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L’estate scorsa, dopo una fioritura scarsa, l’ho potata bene; in autunno, ho concimato bene; ora, è esplosa!

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Lady peonia

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Le peonie sono un po’ ritrose e pudiche nei primi anni dopo l’impianto, perché mal sopportano gli spostamenti. Bisogna avere pazienza e attendere finché si concederanno con pienezza, regalando fioriture eleganti, sensuali, carnose, vellutate.

La mia peonia ‘Gardenia’, qui sopra, ha dato solo due fiori per tre piante. L’ho impiantata l’autunno scorso. Invece la pianta di peonia delle foto qui sotto, con fiori di un rosso ciliegia, non troppo cupo, simili a un sontuoso velluto, è già ben accestita e l’ho trovata qui in giardino quando ci siamo trasferiti. Nelle foto ne tratteggio la cronistoria, questa primavera, dall’esplosione iniziale alla sfioritura, pochi giorni dopo; nell’ultima foto la dama procace e raffinata ha perduto la sua opulenza, è ridotta a una donna scarmigliata, discinta, che si straccia le vesti. Devouring time! Basta l’arco di pochi giorni e la bellezza attesa per un anno intero in un soffio si spampana e muor

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fine

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Luogo dell’anima

C’è in me un mai sopito anelito all’anacoretismo (ho adorato la Zarri, i suoi libri, i suoi giardini). Quando mi ci abbandono, il mio giardinetto diventa nell’immaginazione ciò che non è: hortus conclusus e locus amoenus. Mi abbandono alla sua bellezza, così fragile ma anche piena, così acerba ma a tratti perfetta. Allora un frammento di quest’universo, con la sua bellezza, mi riconcilia con me stesso e, in parte, con l’umanità e il mondo, anche se in absentia. Decantano le frustrazioni e si placa la rabbia per le mille meschinità, brutture, piccinerie che il vivere in società ci porta a incontrare. In ultimo sarà sempre la bellezza a salvarci, come singoli e come genere umano.

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Encomio delle giuliette

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Già ho intessuto le lodi delle giuliette – che di solito chiamo semplicemente “campanelle”, anche se il termine può riferirsi a centinaia di fiori molto diversi. Devo dire che si sono acclimatate molto bene e hanno fiorito con estrema generosità. Ho perduto solo una o due piante per disseccamento improvviso (dovuto chissà se a FusariumVerticillium). Mi è dispiaciuto molto, perché è successo poco prima della fioritura, dopo che la trepidazione e l’attesa erano montate per settimane… Sono sempre sorprendenti, le biennali: resistono praticamente senza fare una piega all’inverno e in primavera sono un’esplosione di vigore. Occorre, tuttavia, che nell’estate-autunno pregressi siano riuscite ad accumulare le necessarie energie, pena la mancata fioritura. Questione di tempismo e, come sempre, di fortuna.

C’è da chiedersi perché io non ne abbia più piante, visto che sono così belle. La risposta è presto data: dalla semina alla fioritura possono intercorrere svariate calamità. Intanto, i semini sono minutissimi e difficili da gestire; la semina avviene quando fa molto caldo, sicché basta sbagliare posizione o dimenticare un turno di innaffiatura ed è sùbito strage. In fase di ripicchettamento e trapianto qualche pianta va persa. Non mancano lumache e chiocciole appena dopo il trapianto, specie se l’autunno è (com’è di norma) umido e piovoso. Qualche pianta non attecchisce. Qualcuna non ha tempo di accestire prima dell’inverno. Infine, quelle rimaste devono ancora sopravvivere a funghi e insetti. Non che le giuliette siano particolarmente sensibili: tutt’altro. Eppure, mi sorprendo sempre di quante piante si perdano per strada… Mi riprometto, quindi, per la stagione prossima, di seminare più volte e con cura, all’ombra, e di trapiantare entro metà settembre, in posizione ben soleggiata. Mi faccio anche l’appunto mentale di provare a prevenire i funghi del terreno con un buon mix di micorrize. Speriamo bene…

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Antologia di inizio maggio

Ressa vegetale: tanto verde ma anche parecchie fioriture

Abbinamento rétro: rosa e calla

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Rosa ‘Susan Williams-Ellis’ (inglese, in vaso)

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Vera e propria giungla – papaveri esuberanti e grassi

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Mix creato dal caso: speronelle, bocche di leone, papaveri

Incontenibili, irrefrenabili, sfacciati papaveri

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Le api sono impegnate in un lavoro ebbro e febbrile, entrano ed escono con voluttà dai papaveri

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Piantine di spinacio della Nuova Zelanda – mi ri-chiedo: avrò un orto?

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Fioritura di Hydrangea anomala subsp. petiolaris

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Piantine di pisello odoroso (semi regalatimi), con sullo sfondo talee di Iberis semperflorens

Piccola giungla sul lato ovest: roselline bianche, iris, garofani, pesco

Fanciullaccia bianca

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Sedum e alisso

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Portulaca

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Sedum

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Un mare di papaveri: non avrei mai immaginato di poterli apprezzare così tanto…

Fiorisce Gaura lindheimeri

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Rosa rosa

Garofanino nato da sé

Rosa ‘Botticelli’ e ‘Marie Pavie/Pavié’

Strana ape dalla lunga proboscide

Rosa ‘Princess Alexandra of Kent’ (inglese di Austin)

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Fiordalisi

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Elogio alle bocche di leone

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Queste piante non si possono che elogiare, in effetti. Sono prodighe e indefesse. Se si spuntano dopo la prima, spettacolare fioritura primaverile (qualcuno consiglia persino di potarle a 5 cm dal suolo), regalano altre due o tre fioriture, anche se più dimesse. Le si può trattare da annuali, biennali o perenni. Credo che la definizione precisa sia perennanti o perenni di breve durata, ma le mie cognizioni botaniche sono raccogliticcie ed empiriche, sicché potrei sbagliare. Per esperienza, posso dire che fioriscono più copiose il secondo anno. Da me sono piantate in semiombra, nel lato est e nel lato ovest. Poverine, si arrangiano con poco sole. E poca acqua: vedendo che si accontentano, praticamente non le innaffio mai. Nemici? Da me, la ruggine (Puccinia antirrhini) è arrivata solo quest’anno, mentre l’anno passato non ci sono stati problemi. Forse è per via della primavera molto piovosa. In ogni caso, se l’attacco non è pesante, possono riprendersi con una bella spuntata e una disinfezione con un prodotto rameico o un anticrittogamico più specifico. Poi ci sono cimici e cavallette, che da me pullulano. Hanno anche altri nemici, ma memorizzo solo quel che càpita a me, in giardino…

Le mie piante sono nate da seme, da una bustina comprata al discount. Per chi volesse evitare la ruggine, esistono in commercio varietà rust resistant. Io ho provato quest’anno anche delle bocche di leone profumate, Antirrhinum majus ‘Royal Bride’. Purportedly so, I’m afraid, nel senso che il fornitore inglese da cui mi sono approvigionato garantiva che lo fossero. Io non sento nulla, ma ho una lieve forma di iposmia, esito di anni di rinite allergica, pertanto forse è colpa mia. Sono in ogni caso molto belle, di colore bianco candido.

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Accostamenti felici

Son stato fortunato: lasciando fare alla Natura, con solo qualche piccolo intervento, si sono creati due abbinamenti felici di colore. Perlomeno, a me pare che il rosso dei papaveri e il blu delle speronelle (intendo Consolida ajacisDelphinium consolida, ossia i delfinii annuali, non quelli perenni così diffusi nei giardini inglesi) creino un contrasto efficace e piacevole. Lo dico malgrado le singole tinte, il rosso scarlatto e il blu-viola, non mi facciano impazzire, in giardino. Altra tessitura, frutto un po’ di mestiere un po’ del caso, è quella dei papaveri della California color arancio frammisti a garofanini, perlopiù rosa lilla rossi fuxia.

Con l’occasione, mi riprometto di essere meno spontaneista e naïf (anzi, meno attendista e pasticcione) e di compulsare qualche testo di teoria del colore e sugli accostamenti studiatamente organizzati per il massimo effetto estetico di armonia e contrasto. Mi viene in mente Penelope Hobhouse: la aggiungo sùbito alla to-read list. Ovviamente, consideràti il clima della mia zona, la natura del mio terreno, l’insipienza del mastro giardiniere, la personalità ora spartana ora esuberante (ma sempre incostante e volubile) del mio giardino, non mi propongo affatto di arricchirlo di bordure miste (che brutta traduzione “bordi misti”!) all’inglese. Sarà di nuovo la sindrome della volpe e dell’uva? Può darsi. Ad ogni modo, non credo che avrei la perizia e la costanza per creare e accudire una bordura mista “di scuola” (magari con le graminacee: Heaven forbid!).

Mi accontento di semplici (fortuiti) matrimoni, come questi.

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Dianthus barbatus, altro prediletto

garofanini dei poeti

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L’ho già sbandierato ai quattro venti: adoro le biennali. I garofani(ni) dei poeti sono una delle prime piante che ho coltivato come piace a me, ovvero da seme. La mia nonna ne aveva un’aiuola e li usava in maggio per crearne mazzi per il cimitero. I suoi si riseminavano da sé. Li chiama(va) “garofanetti cinesi”, anche se Dianthus chinensis è – in realtà – altra cosa; in inglese sono i sweet williams (o Williams?).

Li ho coltivati tante volte. Non sono affatto difficili: semina estiva, trapianto appena hanno 4-6 foglie vere, posizione soleggiata, terreno un po’ calcareo. Fioriscono il maggio successivo (anche già da aprile, in effetti). Sono profumati e  sfoggiano tinte unite o variegature meravigliose. Patologie? Solo la ruggine, se piantati in ombra. A volte le foglie vengono un po’ strinate dal sole cocente, ma niente di irrimediabile. Ci sono vari insetti che pungono o sbocconcellano i miei, senza effetti esiziali, però, sicché non li tratto (afidi, cimici, cavallette…).

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Le giuliette

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Come potrei non amare le giuliette (Campanula medium)? Sono biennali da giardino della nonna, volendo ottimi fiori da taglio. Le si semina d’estate, in posizione riparata. I semini sono molto piccoli. Poi si ripicchettano magari in vasettini singoli (per i bravi, io quest’estate sono stato cialtrone) e appena fa un po’ più fresco, a inizio settembre, si piantano nella sede definitiva, al sole. Amano il terreno un po’ calcareo. Devono avere il tempo di accestire per bene prima dei geli, altrimenti non hanno energie sufficienti la primavera successiva per fiorire. Non mi risulta che si ammalino: a me è successo solo con qualche pianta che all’improvviso è imbrunita e collassata (penso il responsabile sia qualche crittogama risalita dalla radici: colpa del compost di mamma!). Viva le giuliette, semplici o doppie!

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Ogni giardino è quasi un vasto ospitale

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Curculionide solo e in accoppiamento

Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagion dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. […] Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche; quest’altro è róso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido troppo secco.

Come dar torto al Grande Poeta? Il quale era anche un fine naturalista, con interessi a volte molto settoriali, che gli venivano dalla cultura illuminista.

Ovviamente, Leopardi sta cercando di dimostrare il suo assunto che la Natura è matrigna e che il mondo è sofferenza. Ma il quadro fosco trova d’accordo il giardiniere, che alterna momenti di giubilo a momenti di frustrazione per le infinite piaghe che affliggono il suo regno, grande o piccolo.

Hanno ben dire i giardinieri naturali che un giardino senza veleni favorisce la biodiversità e raggiunge un equilibrio perfetto, quasi piccolo ecosistema. La realtà è che, come osserva Michael Pollan  in Second Nature, un giardino è pur sempre una finzione, che accosta specie autoctone con altre esotiche, specie spontanee con ibridi orticoli, piante che stanno benissimo lì dove le si colloca e altre che vi stanno strette.

Un giardino è, come dimostra quella straordinaria poetessa e sacerdotessa del verde che è Maria Gabriella Buccioli, una nostra creatura: un “figlio verde” lo definisce. Ha bisogno di soccorso, cure, pianificazione, amore. E riuscire a tenerlo in salute e rigoglio senza trattamenti non è facilissimo. Credo sia più semplice per chi ha grandi appezzamenti, in cui si può creare un equilibrio su scala media, mentre in un quadratino confinante con tanti altri giardinetti e col bosco selvaggio non è cosa agevole.

Senza contare che la globalizzazione porta con sé un gran turbinio di parassiti, che si trovano sbalestrati là dove non hanno antagonisti naturali e possono pullulare e fare scempio indisturbati. Ci sono esempi a non finire nelle cronache recenti. Il bruco americano, il coleottero giapponese, la piralide del bosso, la metcalfa sono solo alcuni esempi.

Le foto sopra sono delle mia aiuoletta di rose ‘Marie Pavie’ (o Pavié?) e ‘Botticelli’, aggredite nell’arco di due giorni da un’allegra brigata di curculionidi, peraltro non tra i nemici più comuni delle rose. Questi simpatici insettini dalla verde livrea stavano per defogliare completamente le mie piantine, su cui lasciavano solo le loro deiezioni nerastre. Sono creature furbette, perché appena le si tocca si fingono morte. Ecco che – per fortuna – la cattura manuale è la forma di lotta più semplice ed efficace. Io l’ho fatto con un barattolo di saponata bollente, in cui immolavo i poveri insetti – vittime della mia gelosia (giù le mandibole dalle rose!). Ho cercato di applicarmi e di entrare nel mood raccomandato dalla biodinamica antroposofica, cercando di concepire la morte dei malcapitati come sacrificio per il giardino, con un senso di riconoscenza e pietà. Ma la furia omicida del giardiniere efficientista temo sia prevalsa.

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Onor del’odorifera famiglia,

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… tu tien d’ogni beltà le palme prime,/sovra il vulgo de’ fior Donna sublime./Quasi in bel trono Imperatrice altera.

Una volta le rose non mi piacevano. Mi sembravano difficili, capricciose, malaticce. Tutte quelle spine, la macchia nera fedele compagna, le corolle sfiorite nel volgere di un soffio. Forse era un po’ la storia della volpe e dell’uva acerba.

Alla fine le resistenze hanno ceduto e ora non riuscirei quasi a concepire giardino senza rose o giardiniere senza graffi.

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