Hortus Incomptus | alberto
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Florilegio di fine aprile

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Piantine di pomodoro, nate ovunque per via del compost di mamma, e già ripicchettate in vaschette. Avrò un orto?

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Fiorellino sconosciuto (ahi quanta ignoranza botanica!)

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Il boschetto di pervinche, più florido che mai con questa primavera piovosa

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Un’altra delle mie piante preferite: robusta, affidabile, generosa.

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Peccato per la fioritura effimera. Ma che spettacolo!

Nigella damascena

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Aquilegia, nata da seme: accidenti se sono capricciose!

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Iris hollandica

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Un mare di fiordalisi, papaveri della California e calendule

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Pelargonio su sfondo di garofanini dei poeti

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Un mare di fiori che ondeggiano al sole, pastura di api e farfalle

IMG_0617Peonia: che signora!

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Papaveri: api e bombi li prendono letteralmente d’assalto

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Giardinaggio con niente

sedum palmeri con ospite

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Si può fare giardinaggio con niente e il risultato non è giardinaggio da niente. Lo illustra benissimo Umberto Pasti in Giardini e no. Come non essere d’accordo? C’è più  giardinaggio in una rosa che spunta da un barattolo da pelati sul davanzale di una catapecchia che in un giardino pettinato e patinato. E ce n’è più nelle aiuole del benzinaio che tutte le sere innaffia con costanza le sue annuali che nel giardino ben rasato uscito dalla mente dell’archistar di grido. Magari gli esempi non saranno stati quelli, la memoria potrebbe tradirmi. Ma il senso era quello.

Sedum palmeri incarna bene questo spirito minimal, che può essere frutto di necessità o anche di scelta (potrebbe anche diventare una posa, ma solo al limite: una cosa da veri dandy alla rovescia). Se ne pianta un pezzetto in un vaso, senza concimare, lo si lascia lì indisturbato al sole e alle intemperie quattro stagioni su quattro: in breve il contenitore si riempie di umili rosette di foglie verde pallido, che in primavera elargiscono mazzetti di fiori gialli stellati. Non serve innaffiarlo, non serve proteggerlo, non serve concimarlo, non serve potarlo. Non si ammala, non vuole niente.

Un vaso di Sedum palmeri ce lo si scorda facilmente, come fa il maestro col bravo scolaro o il genitore col figlio obbediente. Sono le creature capricciose, difficili, ribelli ad attirare le nostre attenzioni, anche in giardino. Dei sedum, chi se ne cura? Fan tutto da sé. Poi, un giorno, per caso l’occhio del giardiniere cade sui loro fiori semplici, onesti. Ci si pente allora di tutta l’indifferenza, della fiduciosa e incolpevole negligenza: ci si ritrova in dovere di provare riconoscenza per questa pianta sobria e gentile, non bella né brutta: solo priva di lusinga.

Guardatevi attorno: i sedum verde pallido coi loro fiorellini color canarino sono ovunque, anche nel balconcino più negletto. Probabilmente passati di mano in mano: il taleaggio è quasi infallibile, con loro. Si stupisce di quanto siano diffusi in Italia persino l’americano autore di The Plant Lover’s Guide to Sedums.

Anelo a volte a un giardinaggio del niente, fatto di piante così, che non vogliono nulla o che appaiono poco. Mi piace sentirmi appagato di poco, di niente: anche solo il silenzio, l’ondeggiare delle foglie nel vento, la visita fugace di una farfalla. Sento, allora, che non voglio di più, non mi serve di più. Sono momenti di pace, in cui si tace il desiderio di altro, di molto, di troppo. Momenti di semplicità assurta a dimensione perfetta dell’anima.

Anche una piantina poco o punto appariscente può operare il miracolo; occorre sapersi fermare, saper vedere. Allora sparirà l’ansia di dover creare, in giardino, lo spettacolo perfetto per lo spettatore comune, e basterà un piccolo dettaglio ad appagare il bisogno di bellezza e poesia che sente il giardiniere. Bisogna cercare bene, a volte la bellezza non è ben in vista: si sottrae.

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Carrellata di fioriture di metà aprile

Botticelli

Rosa ‘Botticelli’

aiuola di rose, fresie, alisso

Aiuoletta di rose con fioritura di alisso bianco e fresia

calendula

Calendula gialla

fiordalisi, papaveri della California, garofanini dei poeti

Fiordalisi, garofanini dei poeti, papaveri della California

fiordaliso azzurro

Fiordaliso azzurro

fiore di aspidistra (eppur fiorisce!)

Fiore di aspidistra (vero monstrum) – eppur fiorisce…

fiore ignoto con formica

Fiore ignoto con formica

fiordaliso lilla

Fiordaliso color lilla

fiore nato da sé

Fiore nato da sé

fresia bianca

Fresia bianca

fresie rosa

Fresie di color rosa

iris

Iris

mughetto

Mughetti

narcisi

Narcisi

nemofila

Nemofila (potremmo anche dire anemofila, visto che me l’ha portata il vento)

papavero della California crema

Papavero della California color crema

papavero

Papavero rosso

pelargonio odoroso

Fiore di pelargonio odoroso ottenuto da talea

vista

Vista

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Altra vista

heuchera

Pannocchia fiorita di heuchera

rosa marie pavie

Rosa ‘Marie Pavié’ (o ‘Pavie’)

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violacciocche

angolo violacciocche

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Ho una vera ossessione per le biennali (e altre annuali o perenni trattate come tali). Sin da quando seminavo e trapiantavo i garofanini dei poeti d’estate nel giardino dei miei, da bambino e adolescente. La passione si perpetua. I motivi sono fondamentalmente due: in primis si seminano in un periodo lavorativamente tranquillo (d’estate), con tutto il tempo di accudirle come si deve, in secundis sono tra le piante che meglio educano il giardiniere a esercitare a una delle virtù che più lo caratterizzano: la pazienza, visto che occorre aspettare che sia passato l’inverno per vederle fiorire.

Col termine “violacciocche” si designano due specie, in realtà: Matthiola incana e Cheiranthus cheiri (syn. Erysimum cheiri). Si somigliano, ma le prime hanno tipicamente tinte romantiche dal bianco al viola intenso (sono le stocks dei vecchi giardini inglesi), le seconde colori sgargianti e sfacciati dal giallo al rosso mattone. Sono entrambe brassicacee (o crucifere): come i cavoli, sono forti consumatrici di sostanze nutritive, e come i cavoli possono essere preda di cavolaie e altre pieridi. Sono calcofile, sicché mi piace mescolare al terreno in cui le metto a dimora un po’ di cenere di stufa (che andrebbe setacciata per eliminare i carboni, ma il mio spartano armamentario da giardiniere non comprende setacci, per ora…).

I semi delle violacciocche delle foto di oggi recavano sulla busta la dicitura “violacciocche di Nizza”. Le piantine sopravvissute alla calura estiva, al trapianto, all’inverno, a un’insidiosa e ostinata malattia fungina (credo si sia trattato di Peronospora matthiolae) sfoggiano fiori vinaccia e magenta. In teoria dovevano essere di vari colori, ma l’esito è stato questo: le due mattiole in vaso sono uscite magenta, le otto-dieci piantumate in un’aiuola sono risultate vinaccia. Meglio così: effetto più compatto e meno volgare. La natura a volte crea un effetto estetico più equilibrato di quello cui mira il giardiniere.

Mi viene in mente, a proposito, che la volgarità è uno dei grandi rischi dell’arte orticola (si dovrebbe dire così, giacché hortus è l’orto-giardino, come il garden, mentre molti adottano il nuovo conio “giardinicolo/giardiniero”, che a me non piace).

Dicevo: la volgarità, da cui non mi proclamo esente (come non sono esente in giardino da ingenuità, negligenza, leziosità, barocchismo, autoreferenzialità), è uno dei grandi rischi orticoli. Credo che evitare – per quanto possibile – il colore rosso possa aiutare, specialmente in un giardino di ridotte dimensioni. Come aiuta astenersi dal conformismo e dalla moda, scegliendo in base al gusto e non al mercato.

violacciocche di Nizza

violacciocca di nizza

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lillà

Altra presenza gradita ereditata dal passato e molto “giardino della nonna”: un bel lillà bianco. Dopo la fioritura mi sono ripromesso di potarlo – col rischio di vederlo fiorire pochissimo l’anno prossimo; ma non si può lasciarlo così: ha due branche principali molto grosse e sgraziate visto che l’esemplare non è alto. Poi ci sono un’infinità di polloni tutt’intorno: ne dovrò estirpare alcuni, ottenendone magari nuove piante da regalare (non mi risulta ci sia posto per ospitarle, qui da noi).

Un tempo non avevo interesse per questa pianta, ma adesso che ne ho una ne sono conquistato. Ha tante virtù dalla sua: è sobria nel portamento, robusta, profumata, esuberante nella fioritura. Da me si è ammalata due volte, ma in genere è resistente. La prima volta, dopo la prima potatura un po’ casuale, l’anno scorso, con cesoie non affilate e non disinfettate (la fretta durante e appena dopo il trasloco!) ha subìto un attacco credo batterico, che ho combattuto con rame e Bacillus subtilis ceppo QST 713; poi è stato preso d’assalto (come il resto del giardino) da cavallette e cimici, che ho dissuaso con tre trattamenti con spinosad e piretro, abbinati alla lotta manuale (lavoro ingrato ma l’ambiente ringrazia).

Tornando ai meriti delle siringhe della nonna, la maggiore è probabilmente il profumo – davvero celestiale. Sono contento che i miei predecessori avessero scelto un esemplare dalla fioritura bianca, al posto del più classico tinta – appunto – lilla. Adoro il bianco in giardino, come molti più grandi prima di me (viene in mente Sissinghurst…), se non fosse che ne hanno fatto e fanno largo uso certi architetti poco giardinieri, con la tendenza ad abusare del verde e del bianco.

Non sono l’unico ad amare il lillà: ci sono anche molte farfalle e qualche coleottero antofago, che non reca gran danno.

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ospiti graditi

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farfalla

Il giardino fiorito, quando e dove splende il sole, si popola di ospiti che sono – ovviamente – i benvenuti. Be’, ripensandoci non è poi così ovvio.

La repulsione per insetti, ragni, piccoli rettili e anfibi, persino piccoli mammiferi è, mi pare, radicata in ognuno di noi e talora assume l’habitus di franca fobia. Come giardinieri occorre però educarsi ad amare e accogliere tanti piccoli animali utili e, in fin dei conti, simpatici e interessanti. Per carità, ogni tanto il senso di orrore riemerge, e ci si può ritrovare a roteare le mani sopra la testa perché sorpresi da un ronzio minaccioso, pronti a spiaccicare qualsivoglia incauta bestiaccia volante (per poi magari sentir riemergere nella memoria una vocina che recita Little Fly,/Thy summer’s play/My thoughtless hand/Has brush’d away). 

Ma il più delle volte, il buon giardiniere accoglie, osserva, fotografa i suoi compagni di lavoro con ammirazione e riconoscenza (ammirazione per la leggiadria e levità delle farfalle, riconoscenza per l’operosità delle api e dei bombi). Ovviamente non sposo in modo fideistico l’ideologia del giardino naturale al punto da non lottare contro piccoli roditori, piccioni, scarafaggi, vespe, calabroni, vipere. In questo caso prevale in me l’igienismo e una paura forse eccessiva di potenziali punture o malattie. Con le formiche, invece, sono clemente e non imbraccio le armi contro di loro. Anche se, a dire il vero, di danni sembrano combinarne parecchi: traghettano gli afidi ovunque, balie agguerrite e opportuniste, e li difendono strenuamente; formano cumuli di sabbia e terra ovunque; costruiscono la bica dove meno vorrei; pungono (senza gravi danni) i boccioli di alcune piante (le peonie, in particolare); disperdono i semi di alcune erbacce a loro gradite. Eppure non mi sono mai entrate in casa.

Ci sono tuttavia moltissime persone che non depongono le armi contro nessun nemico: sterminano senza pietà persino le povere lucertole (utili insettivore). Esistono o sono esistite anche false credenze, talora avallate dalla scienza coeva, alla base di alcune di queste crociate – credenze che variano qual piuma al vento col mutare delle mode, anche in àmbito scientifico: leggo in un manuale di orticoltura di un illustre accademico, del 1948 (undecima [sic] edizione!) per altri versi prodigo di spunti interessanti, che anche i lombrichi sarebbero da annoverare tra i nemici di cui sbarazzarsi. Poveri lombrichi! Certo, sono viscidi e umidicci, e si dividono in parti dotate di vita propria che si divincolano orridamente quando trinciati da una vangata. Ma chi sa quali portentosi meriti vantino non può che rispettarli, magari con sacro timore e a debita distanza…

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The little bit (two inches wide)…

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… of ivory on which I work with so fine a brush, as produces little effect after much labour. Non intendo nemmeno lontanamente paragonarmi alla geniale e malefica romanziera d’Albione, creatrice di partite a scacchi orchestrate come eleganti quadrighe, di lavori di bulino e cesello da labor limae maniacale. Né posso dire di aver profuso fatiche improbe nel mio pezzettino di verde. Insomma: mi veniva in mente quella frase per l’idea del “piccolo ma prezioso” che evoca. Le analogie finiscono lì.

Sono piuttosto orgoglioso dell’effetto globale del mio quadratino di verde, questa primavera. Soprattutto perché è il frutto felice del caso: non l’ho progettato a tavolino, anche perché le mie capacità progettuali sono scarse e sostenute da mezzi scarsi.

I protagonisti di questa sinfonia colorata sono heuchere, garofanini dei poeti, fiordalisi, violacciocche, papaveri della California, papaveri dei campi, acetoselle (Oxalis articulata). In una delle foto si nota anche una teoria di soffioni al vento, quel che rimane di un gruppo foltissimo di tarassachi. Sono così contento di non averli estirpati, come qualcuno mi suggeriva. Ho avuto il tempo di mangiarne, di goderne il giallo sfavillante, di osservarne con languore i soffioni che si spogliano a ogni bava – simbolo magari trito ma sempre struggente della fugace transienza di ogni cosa. Nothing gold can stay. 

Come si è creata questa confusione fiorita? Qualche aiuola, formale, l’ho piantumata tra fine estate e inizio autunno della stagione scorsa (quella poligonale dei garofanini e quella rettangolare delle violacciocche); altre, informali, si sono create da sé con quel che rimaneva di un prato fiorito misto che avevo seminato e visto fiorire per due-tre settimane. Le piante più caparbie si sono riseminate da sé, anche se – a dirla tutta – le avevo un po’ aiutate senza molta convinzione con qualche lancio a spaglio qua e là. E poi ci sono anche le essenze portate dal vento.

Confesso che quando ho letto (e riletto) I giardini venuti dal vento, non ho creduto davvero possibile emulare la demiurga autrice di quel libro e di quei meravigliosi giardini: non credevo fosse agevole riconoscere piante nate da semi portati dal vento e salvarle dal diserbo o comunque permettere loro di espandersi e colonizzare. Invece devo dire che non è difficile. Specie ora che sono circondato da piccoli giardini, alcuni a livello più alto del nostro, sicché l’azione del vento è facilitata dalla gravità.

Tra i doni ricevuti, e accolti con trepidazione e riconoscenza, ci sono in giardino e nei vasi diverse margheritone (Leucanthemum maximum), alcune malvarose, e ancora nemofile, petunie, bocche di leone. Il segreto, per chi difetta – come me – di approfondite cognizioni botaniche, è avere un appezzamento in cui crescono poche, tipiche, erbacce: in questo modo è facile, per contrasto, riconoscere piante “diverse” e, nel dubbio, lasciarle crescere con la speranza che siano fiori. D’accordo, la contrapposizione erbacce versus fiori da giardino si può dare per superata, ma penso di aver chiarito che cosa intendo.

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Risveglio di primavera:
la natura fa da sé

C’è sempre troppo poco tempo per il giardino, e anche le forze deficitano. Per fortuna sembra che la natura di questi tempi sappia fare anche da sé, senza grandi interventi: sono lontane le arsure estive che rendono il mio terreno uno zoccolo granitico riarso percorso da crepe larghe due dita e che fanno dell’innaffiatura un onere imperativo ed esoso in termini di tempo ed energia. In questi giorni posso godermi i primi frutti del lavoro autunnale e dare solo qualche indirizzo alla natura, che trabocca di linfe vitali. Gli steli si sollevano, le gemme si gonfiano e aprono, le foglie sono di un verde brillante che sa di nuovo. Tutto parla solo di speranza e palingenesi.

Nelle foto qui sotto: le heuchere divise in ottobre allungano gli steli (anch’esse lascito dei precedenti inquilini, e anch’esse molto “giardino della nonna” o “delle vecchie signore”), le violacciocche di Nizza (adoro la tinta di questo particolare esemplare…), una pratolina, un altro narciso (con i petali merlettati da una neanide di Barbitistes vicetinus – And his dark secret love/Does thy life destroy…), uno dei moltissimi esemplari di papavero selvatico nati dalla mia improvvida idea di spargere un po’ di semi qua e là l’estate passata, una spartana seminiera con piantine di finocchi, un tulipano viola, il turbante arancio di un papavero della California (da quei pochi che avevo seminato qua e là l’anno scorso nel prato misto fiorito antistante la casa ne sono venute quest’anno decine e decine: spuntati in autunno, ora stanno per fiorire).

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Altre fioriture marzoline

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Le bulbose dànno sempre grandi soddisfazioni: le si affida al terreno, se ne aspettano con trepidazione i germogli, se ne gode la bellezza spesso sfacciata, quasi sempre fugace. Sono abbastanza autonome e tante volte è addirittura meglio astenersi dall’intervenire e lasciarle in pace. Molte non amano essere divise troppo spesso, molte gradiscono terreno asciutto per molti mesi l’anno.

Purtroppo, questa primavera è assai piovosa: i miei narcisi gialli, che qui ho trovato assiepati fittissimi in un’aiuola che costeggia un marciapiedi e fa da continuazione a quella dei giacinti color carta da zucchero, non gradiscono avere i piedi a mollo per troppo tempo, e infatti ecco immancabile una bella crittogama, la cui specie non ho identificato. Ho trattato con un prodotto rameico e con un triazolico, ma ho come l’impressione che le spesse foglie lucide dei narcisi non assorbano alcunché, lasciando invece scivolar via tutto, come fanno certi umani. Speriamo bene; le fioriture non sembrano compromesse ma chi lo sa che cosa succede lì sotto, nei bulbi e soprattutto che cosa succederà l’anno prossimo. Di dissotterrarli non se ne parla: sarebbe un lavoro immane; tra l’altro di solito non lo si fa, perché i narcisi sono rustici e non sono appetiti dai roditori (sono velenosi anche per gli umani).

Oltre alla bella aiuola di narcisi, che non può che allietare chi la mira (A poet could not but be gay/In such a jocund company), stanno fiorendo i tulipani che ho comprato in stock in un sacchettone lo scorso autunno. Sono doppi e ostentano tinte da matrimonio o battesimo: bianco candido, rosa perla o confetto; ce n’è però anche qualcuno di un violetto più intenso. Questi sarebbe meglio estirparli a fine ciclo, dopo che le foglie si sono ingiallite o seccate. Chissà se ce la farò o se dovranno starsene lì sotto… in ogni caso dovrò ricordarmi di non bagnare troppo, per non farli marcire mentre sono a riposo.

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pervinche

Le sorprese si susseguono, in questa stagione, e quasi non si ha tempo di fotografarle tutte. E così è, infatti. Ma alcune le ho immortalate: in senso orario dall’angolo in alto a sinistra un’Iberis sempervirens che sembra urlare “non vogliamo foglie, solo fiori fiori fiori!”, un pesco ornamentale, fragoline di bosco, il mio rosmarino in vaso (che ha sopportato indenne tre traslochi, senza ricevere rigorosamente mai alcuna concimazione), violacciocche di Nizza, un angolo ombroso di pervinche che colonizzano in modo tentacolare le zone loro congeniali.

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Le pulcre: un’altra bella eredità

aiuola dei giacinti

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Anche questa superba aiuola allungata di giacinti è una gradita eredità; mi riferisco alla prima e terza foto, quella centrale illustra un esemplare isolato, di tinta più carica.

Una cara amica ed esperta giardiniera mi ha detto – salvo equivoci da parte mia – che qui in Veneto una volta non c’era giardino della nonna che non avesse i suoi bei giacinti azzurri, chiamati “pulcre”. Non so se il termine sia dialettale o abbia a che fare con l’aggettivo latino; fatto sta che belli lo sono davvero. E nemmeno troppo effimeri, per dire la verità, specie se non piove per un po’. Hanno un profumo che stordisce perfino quando lambisce a ondate ed effluvi le stanze del primo piano. L’azzurro tenue (carta da zucchero?) crea un bel contrasto con le composite spontanee gialle che sono al primo ciclo di fioritura e già attirano veri e propri sciami di api.

Molti storcono il naso, ma a me piace lasciarle dove sono, le composite dico: hanno un ciclo vegetativo piuttosto breve, sono allegre e chiassose (di fiori gialli si sente particolarmente bisogno in inverno e primavera, trovo, e le api credo siano d’accordo), non disturbano perché riempiono angoli e fessure altrimenti disadorni – ivi compreso il margine tra marciapiedi e muretto del mio giardino. La cosa ha indispettito il vicino di casa, che ha prontamente sparso diserbante sul marciapiedi, anche davanti a casa mia – ahimè –, e mio padre, che – incaricato di una piccola commissione – non ha resistito invece alla tentazione iconoclasta di fare piazza pulita delle “erbacce” e di redimere il bordo dell’impiantito. Amen.

Qui sotto la foto di un angolo che in primavera mi piace lasciare alle composite gialle, di cui ignoro la specie; nella seconda foto compaiono insieme a pratoline e trifoglio, in un prato misto che sembra ricamato. Sono tra l’altro facilissime da estirpare, volendo, perché vengono via a ciuffi con la rosetta basale al solo tirarle per lo stelo fiorifero, specie se il terreno è un po’ umido o anche solo in tempera. Insieme ai numerosissimi tarassachi creano belle distese e macchie di giallo canarino carico che dànno una bella sferzata di joie de vivre, dopo le tetraggini invernali. Ribadisco: le api sembrano esser d’accordo.

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Viole

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Non sono un grande esperto di viole, ma qui ne ho trovate parecchie. Ne nascono un po’ in tutti gli angoli, quasi tutte sono di colore viola scuro e hanno il classico profumo di violetta (come quelle della seconda foto). Sono violette spontanee, portate dal vento, o forse propagatesi a partire da qualche esemplare piantato qua e là chissà quanti anni fa. Purtroppo, si trovano anche in posizioni non proprio propizie. In effetti, nel corso della stagione, finite le tiepide giornate primaverili, si ustionano e seccano al sole. Tra l’altro da me hanno la tendenza ad ammalarsi di ramularia, sicché si seccano ancora di più. Per non farci mancare niente, ce n’è un gruppo che credo abbia un virus, ma mi spiace strapparle ed eliminarle, anche perché sembrano fiorire senza problemi. A tutto questo si aggiunge che, avendo già tante cose da innaffiare e non volendo sprecare acqua, le abbandono al loro destino fino ai primi acquazzoni di fine estate. Devo dire che sono molto, molto resistenti e sembrano sopravvivere a ogni privazione.

Ogni tanto, anche se non succede spesso, mi lascio tentare e acquisto qualche violetta nei soliti vasetti alveolati di plastica, come quelle della prima foto. Se ne trovano davvero di ogni colore, anche banalmente sulle bancarelle. Di solito non mi piace acquistare piante già pronte, preferisco la semina, la divisione, la talea. Ogni tanto però si può fare…

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Una bergenia apre il nuovo anno in giardino

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Questa bergenia l’ho ereditata, come molti altri fiori e piante, da chi ha abitato qui prima di noi. Era parecchio malridotta e – confesso – avevo quasi sperato non superasse l’inverno, preso da tante altre piccole incombenze volte a dare una sistemata al giardino-giungla. L’avevo lasciata del tutto senz’acqua per due interi mesi invernali, in una serretta non riscaldata (anche se è perfettamente rustica, l’avevo voluta mettere lì, in attesa). La primavera scorsa l’ho spostata, senza tanta convinzione, col suo vecchio vaso incrostato, in un angolo a ovest, dove è stata biscottata per bene dal sole estivo di tardo pomeriggio. A fine estate, le foglie ormai incartapecorite ma ancora pervicacemente attaccate alla vita, è stata finalmente trapiantata dal suo scriteriato proprietario. Non mi suscitava grande interesse, a dire il vero: era solo una delle tante piante rétro che ho trovato comprando casa. Però la sua tenacia refrattaria a ogni bistrattamento qualche simpatia cominciava ad accendermela. L’ho piazzata in un vaso più grande, potando foglie e radici, pressando senza tanti riguardi, e aggiungendo solo un po’ di compost a uno dei soliti terricci torbosi in commercio. Ha trascorso un secondo inverno, questa volta con saltuarie innaffiature. A un anno esatto dalla prima volta che l’avevo adocchiata, mi ha ricompensato di quel po’ di fiducia che le ho concesso. Una fioritura molto esuberante e sana, come si vede dalle foto. Dopo questa bella sorpresa mi sono ripromesso di recuperare e dividere altre bergenie che ci sono qua e là in giardino, per ripiantarle in vasi con terreno buono e tenerle in posizioni riparate dal sole eccessivo e dalle lumache, per spostarle magari in gruppo un po’ più in vista quando fioriscono, per un breve ma intenso show.

Le bergenie sono molto diffuse nei vecchi giardini, qui in zona. Nei tristi giardinetti di alcuni condomìni ce ne sono intere distese, spesso all’ombra. Formano come un tappeto di orecchie d’elefante verdi, belle coriacee e resistenti. Solo il sole inclemente e il secco prolungato le intristiscono, anche se un po’ di foglie gialle e secche sono soltanto il segno del fisiologico ricambio stagionale. La fioritura può essere di più colori, anche se qui da noi il colore che si vede di solito è lo stesso delle mie foto. Credo che anche queste piante démodé meritino un revival un po’ più entusiastico di quello che – è pur vero – le ha riguardate di recente… Vorrei magari provare una varietà a fiori bianchi: vedremo…

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