Hortus Incomptus | un piccolo giardino spettinato
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Ombra gradita

D’estate, col gran caldo, fa piacere sedere all’ombra di una di fiori odorata arbore amica (arbor è femminile). Nel mio caso non può che essere l’ombra di una Magnolia grandiflora, unico albero d’alto fusto del giardino. A esser precisi, in questi giorni la fioritura è bella che esaurita da un po’, sicché di fiori odorata si può magari riferire ad altre fioriture che spandono odori grevi e sensuali, come le petunie un po’ passite dalla calura, o qualche rosa sparuta che tenta di rifiorire, o ancora le belle di notte, se è prima mattina o tardo pomeriggio.

C’è da dire, però, che di rado il giardiniere siede all’ombra, ozioso, a godersi i frutti di cure e fatiche. Sùbito scorge una foglia accartocciata o ingiallita da spiccare, qualche macchia sospetta da analizzare più da presso, una pianta in vaso bisognosa di un’innaffiatura di soccorso. Ed ecco allora, soverchia, l’ansia di agire, intervenire, irregimentare, risolvere – pena un forte senso di colpa per omissione ai propri doveri.

Siamo qui, credo, alla base e al cuore della dicotomia propria del fare giardinaggio. Sono due modi di essere, due atteggiamenti, due approcci entro i quali si oscilla. Da un lato la non azione fukuokiana-gandhiana, il giardinaggio terapeutico, lo zen o lo yoga in giardino, la pace e il rispetto, il senso di armonia, l’appagamento, i ritmi atavici e rasserenanti, l’accettazione del limite e del caso, la ripetitività che guarisce, la contemplazione del bello; dall’altro l’ansia da prestazione, lo zappare indefessi per espiare l’esistere, l’urgenza di agire, la sindrome da check list, la natura da domare e ridurre alla ragione, l’ammazzarsi di fatica a séguito di rabbiose frustrazioni, l’imperativo borghese il faut cultiver notre jardin. Dove mi colloco? Ineluttabilmente abbarbicato al pendolo che dondola tra un opposto e l’altro, nella massima incoerenza e altalenanza. Senza contare che talora abdico cedendo a un’apatia rassegnata, per esempio di fronte ai geli e alle nebbie invernali.

Divagazioni pseudofilosofiche a parte, resta assodato che panche, seggiole, gazebi sono prerogativa, in giardino, più degli ospiti che dei giardinieri. Resta altresì, e in parentesi, assodato che Magnolia grandiflora (eccezion fatta per ‘Little Gem’ e altre recenti creazioni) è inadatta ai piccoli giardini e che quando ce la si ritrova sul groppone in eredità restano solo due strade da battere: potarla drasticamente, vedendola ridotta a tarpato moncherino, o eliminarla. Da me è frequente nei piccoli giardini, e ogni due anni i vicini la potano a cono; così ho fatto anch’io, ma penso che la eliminerò del tutto. D’accordo: sono piante maestose ed eleganti, forti e resistenti. Ma stanno bene nei grandi parchi, secondo me, dove si può lasciare che le foglie, che cadono copiose, si ammucchino indisturbate ai loro piedi.

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Una graziosa brassicacea

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Alisso o lobularia, della stessa famiglia dei cavoli. Piccola tappezzante da zone assolate. Profumo intenso, inebriante, di miele. Come si vede nella foto sotto, gli/le basta una fessura per spuntare, anche sul marcipiedi (zelanti vicini di casa armati di diserbante permettendo…).

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Mirabile…

Una pianta da ammirare per molti motivi. Facile, sana, prodiga, prolifica, profumata. Rustica, quello no; ma è molto facile ottenerla da seme di anno in anno, o conservarne i tuberi per ripiantarli, come le dalie.

In realtà il nome latino, Mirabilis jalapa, le viene dalle straordinarie prerogative di trasmissione genetica dei caratteri, che si sottraggono in parte alle classiche leggi di Mendel. A differenza dei fiori dei piselli, studiati dal celebre monaco-scienziato, le belle di notte si screziano in mirabili variegature di generazione in generazione. Volendole tutte di un colore puro di stagione in stagione occorre raccogliere con pazienza solo i semi prodotti da piante con infiorescenze di una certa tinta. Impresa da Sisifo, dato che le piante si riseminano da sé a profusione. Esistono anche selezioni monocromatiche; Chiltern Seeds, ad esempio, ne ha una rosso rubino, quella della prima foto qui sotto.

I semi sono molto belli: sembrano piccole bombe a mano nerastre; sono abbastanza cicciotti, quindi facilmente maneggiabili e seminabili. Io non mi prendo più la briga di spiccarli e preservarli, lascio che le piante rinascano a loro talento. Questo metodo, utile anche con le aquilegie e le digitali, fa sì che le piante nel corso degli anni si spostino là dove trovano condizioni ideali. Mi pare che per le belle di notte si tratti delle zone luminose ma un po’ schermate dai raggi cocenti agostani, che le afflosciano un po’ troppo.

Gli inglesi le chiamano four-o’-clock-flowers: sono fiori serotini e notturni. Mi piace aspirare la loro fragranza fruttata tornando da una passeggiata serale, lasciandomi stordire per qualche istante.

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Fine luglio

C’è poco tempo per scatti narcisistici o da voyeur botanici. La mattina si deve innaffiare, il dì si deve innaffiare, la sera si deve innaffiare. Non c’è sosta. Armato di solo innaffiatoio combatto la mia lotta da Don Chisciotte, e soccombo.

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Piena estate: gigli, gaure, gaillardie…

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Le gaure non hanno bisogno di commenti; viene solo da chiedersi come si sia potuti vivere senza! Mi sto forse omologando: ormai le gaure sono ovunque, persino nei vasi che decorano i ponti in città. Per me, però, sanno ancora di novità ed è lontano il giorno in cui mi verranno a noia, se mai lo faranno.

Qui sotto, in sequenza, un sedum da talea con le foglie un po’ mangiucchiate (le lumache scalano persino i vasi!) e ingiallite (devo aver preso troppo sul serio le indicazioni colturali “terreno povero e ben drenato”: temo si tratti di carenza di azoto…); un giglio (profumo inebriante e celestiale); un’ipomea nata lungo la recinzione da semi della stagione avanti; una gaillardia nata chissà come e chissà perché.

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