Hortus Incomptus | annuali
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Poche ma preziose le fioriture vernine

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Si protrae indefessa la fioritura di bocche di leone, calendole, rose paesaggistiche. Ci sono poi i fiori vernini di poche, timide piante: iberidi, ellebori, viole e violette. Sono belle anche le foglie glassate dal gelo, le trame dei rami con le loro cromie e tessiture, parchi e giardini alfine sgombri di fronde, che l’occhio può traguardare e la mente misurare. Eppure, cerco solo fiori con lo sguardo: tutto il resto ha una sua poesia da giardino delle nevi – non si può negare – e però non mi entusiasma. Attendo il risveglio e il disgelo con trepidazione, ma sono lontani, ancora.

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Astri protagonisti

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Un’estate impietosa con punte oltre i quaranta gradi, che ha rinsecchito e bruciacchiato le foglie delle alberature stradali, mi ha costretto a lavori forzati in giardino e a questo lungo silenzio, che mi piace ora rompere con un post sugli astri annuali. Ne ho di bianchi, porpora, carminio, fucsia, rosati. Il mio preferito è quello della foto qui sopra, carnicino e madreperlaceo: una delizia.

Le poche piantine di cui dispongo le ho seminate in marzo, aprile e maggio, a più riprese, in modo da averne in fiore lungo tutta la stagione. Ce n’è un tipo a margherita, che con la sua compostezza da fiorellino mansueto mi pare circonfuso del pudore virginale di un’educanda; e ce n’è un tipo più sofisticato e pretenzioso, dai bei petali cicciuti a mo’ di dalia o peonia, che ho ritratto negli scatti di quest’articolo.

Gli astri sono – giusta l’etimo – vere stelle in giardino. Lo illuminano soprattutto nel trapasso da estate ad autunno. Se ne fanno mazzetti dal sapore rustico, in stile donzelletta che vien dalla campagna. Mi ricordano tanto la nonna, che un tempo regnava s’un ampio orto-giardino in cui le verdure avevano la meglio (l’ovvio pragmatismo di chi ha sofferto la miseria) ma erano inframmezzate da fiori, soprattutto da taglio, per farne mazzi da portare in cimitero. Ricordo i gigli di Sant’Antonio, le calendole selvatiche, i garofani dei poeti, le calle con le loro spate candide, le verbene, i “becchi” (nome locale del tagete).

Non sono difficili da ottenere partendo da seme, gli astri. Conviene scaglionare le semine, da marzo a maggio, per averne sempre, e poi trapiantare al sole o a mezz’ombra. E se si teme il tremendo Fusarium oxysporum callistephi, tra le poche malattie degli astri, conviene comprare semente garantita e piantarli in vaso con terriccio che non contenga terra (in Italia, qualsiasi terriccio commerciale non ne conterrà, essendo a base di torbe o – nella migliore delle ipotesi – fibra di cocco; all’Estero, le composte John Innes ne contengono, ma sono sterilizzate, per cui il risultato è garantito comunque).

Un’ultima osservazione. Li ho chiamati astri, con l’eventuale appendice di “annuali”, mentre tassonomicamente sono Callistephus sinensis (donde l’altra denominazione volgare “astro cinese”, o “astro da China” in qualche vecchio catalogo…); l’aggiunta di “annuale” o “cinese” non è esornativa, ma serve a distinguerli dagli astri perenni, non foss’altro che quest’ultimi adesso non si chiamano più Aster ma Symphyotrichum, salvo alcuni. Un bel guazzabuglio!

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Acme dell’estate

Da sempre associo il mese di luglio alla prorompente esplosione in fiore dei lillà delle Indie (Lagerstroemia indica), che dalle mie parti adornano le strade a mo’ di alberature e incorniciano i giardinetti privati come soldatini in riga sull’attenti. Non mi piace molto il loro portamento da manichini, ma hanno una fioritura così spettacolare che sono pronto a perdonarglielo. D’altronde, non è colpa loro: siamo di fronte a uno strascico degli anni Sessanta-Settanta, quando “alberello” era sinonimo di eleganza, come per le rose. Colpa dell’uomo, come sempre.

Il mio giardino non faceva eccezione, e lungo il confine esibiva il suo bravo lillà delle Indie, ad alberello, tutto rigido come un bastone; per fortuna era solingo, senza compagni d’arme. L’anno scorso l’ho segato alla base. I polloni, che già spuntavano esuberanti intorno al tronco, quest’anno sono alti più di un metro e mezzo. Ora sono in fiore. Sono molto soddisfatto: da un alberello ingessato, incongruo nel mio giardino selvaggio e would-be spontaneo, ho ottenuto uno splendido arbusto. In futuro mi ripropongo di valorizzarne quattro cinque branche principali, sfrondando l’affollarsi dei polloni, in modo che assuma un portamento un po’ arrotondato e poco assurgente. Tra l’altro adesso che non c’è più la magnolia a insidiarlo con la sua ombra non ha nemmeno una traccia di mal bianco. Bene.

Altra pianta immarcescibile e vigorosa che associo alla calura di mezza estate è l’oleandro, coi suoi fiori dall’odore venefico di mandorla amara. Che piante meravigliose. Chissà perché una volta le si coltivava in vaso, per ricoverarle o proteggerle in inverno; ora siamo più consapevoli della loro sostanziale rusticità, e del fatto che solo in piena terra possono svilupparsi al meglio.

Ecco qualche foto rubata in giardino stamane, prima di lasciarlo a cuocere sotto il sole arroventato.

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Un’infestante stupenda ma temibile (soffoca le piante avvolgendole tra le sue spire…): il convolvolo selvatico.

Heliopsis helianthoides 'Bressingham Doubloon'

Una perenne comprata da Un quadrato di giardino, il mio vivaio preferito. Arrivata malconcia (per colpa del caldo), si è ripresa presto.

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Blu elettrico

Convolvulus tricolor

Dopo un provvidenziale rovescio, l’aria si è sgravata dell’afa, il cielo è ben ripulito e tutto brilla di un colore saturo e vivido. Sembra un mondo diverso, quasi il frutto del lavoro di un bravo colorista. Mentre mi aggiro in giardino, in giornate come questa, mi sovviene ogni volta l’incipit di Mrs DallowayAnd then, thought Clarissa Dalloway, what a morning—fresh as if issued to children on a beach. Vorrei tanto rileggere tutto il romanzo, chissà se ne avrò mai il tempo…   

In giornate così terse, anche l’erba appare più verde. Non è solo perché non c’è più l’umidità a filtrare ogni cosa con un effetto foschia o prospettiva aerea, ma anche perché basta un acquazzone a sferzare le piante a nuova vita, rimettendovi in circolo la linfa e scuotendole dal torpore letargico dei giorni più roventi e afosi.

Tra i vari colori squillanti che attirano il mio sguardo – il rosa di Lagerstroemia indica, il fucsia dei settembrini in prefioritura, il giallo pallido di una bocca di leone – mi coglie di sorpresa il blu elettrico di un gruppuscolo di Convolvulus tricolor. Un colore insolito, quasi artificiale, intensificato dal contrappunto del giallo e del bianco. Noi giardinieri si tende a essere approssimativi in fatto di colori: per la precisione, questi fiori virano un po’ al viola, non sono blu puro. Peraltro credo che il blu puro sia una chimera, nel mondo vegetale. I miei convolvoli fino a prima della pioggia vivacchiavano per miracolo in un angolo assolato, ammorbati dal solito ragnetto rosso e ancora un po’ contrariati per il trapianto… Quanto può un temporale estivo!

Tornando dalla facile esaltazione alla prosaica realtà, devo constatare con allarme che con l’acqua c’è stata anche una recrudescenza di Armillari(ell)a mellea: sfoggio di carpofori (alias “funghi”) e morte di un malvone nei pressi del ceppo marcescente della robinia abbattuta due anni fa. Ovviamente sto drammatizzando: le rizomorfe si propagano lente lente (sia pure inesorabili), quindi l’efflorescenza di funghi, per quanto coreografica e inquietante, è solo il segno estremo e visibile di una progressione che dura da almeno due anni. Leggo con preoccupazione che, dopo il ritiro dal mercato dell’Armillatox®, non esistono mezzi professionali od hobbistici per combattere Armillaria. Occorre scavare, eliminare il materiale infetto (c’est à dire tutto l’apparato radicale: si fa prima a mettere una bomba…), lasciare lo scavo respirare per mesi, non ripiantare specie sensibili (potenzialmente, tutte) per qualche anno, curare poi il drenaggio e micorrizare i futuri impianti. Tre quarti di queste misure sono impraticabili o richiedono fatiche erculee; fortuna che non ho un vigneto o frutteto: lì sì che sarebbero guai seri…

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Sprazzi di sole

Qualche sprazzo di sole di tanto in tanto si apre e illumina una distesa di fiori presi d’assedio da bombi, api, sirfidi. Non sempre riesco a ripescare per tempo la macchinetta, sicché le foto spesso hanno luce fredda, da cielo velato o coperto. Le temperature restanto basse e il terreno è zuppo. Il giardiniere si dedica solo ai vasi e si rinfranca per le fatiche future…

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Time to stand and stare?

What is this life if, full of care, / We have no time to stand and stare…

In giardino, da marzo a settembre, c’è talmente tanto da fare che davvero si rischia di obliterare l’invito del poeta a sostare e guardare. Oggi ho avuto – è un’eccezione – diverse ore da dedicare al giardino. Tra un’incombenza e l’altra, però, ho sostato e osservato, memore di quei versi. Il fiore che beve il sole cullato dalla brezza, l’ape che entra ronzante in una corolla e ne esce inzaccherata di polline, la lucertola che sguscia da un antro e si crogiola al caldo; ma anche il vaso sbrecciato, la terra smossa, il buco in terra, la foglia butterata: non vedo che bellezza intorno a me, in questi pochi metri di caos vegetale.

In un grande vaso a cassetta, di volgare plastica, si schiudono i fiordalisi, seminati a ottobre.

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Ovunque è un brulicare di insetti, ragni, piccoli rettili. Ecco due ospiti immortalati.

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Lungo un bordo di cemento si è ormai bene espansa Phlox subulata, in tre colori (fuxia, malva pallido, bianco).

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Sono belli i fiori selezionati, seminati, ripicchettati, trapiantati, concimati, innaffiati; ma sono belli anche quelli che fanno tutto da sé, come le molte specie del mio arazzo fiorito, ove pure sono un po’ soverchi i gialli squillanti dei tarassachi – un grido di gioia.

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Sono meravigliosi, certi nomi volgari di fiori, un po’ in tutte le lingue. Purtroppo, io stesso abuso del nome latino italianizzato, di solito del genere, talora della specie, appiattendo e neutralizzando tutta la densità storica, poetica, popolare, fitoalimurgica del nome volgare. Allora Campanula medium si fa banale campanula (e non ammiccante giulietta), Dahlia resta dalia (e non è giorgina), Aquilegia è solo aquilegia (e non colombina), Bergenia perde solo la maiuscola (e non è giuseppina)… Si potrebbe molto continuare, ma mi si sono per caso inanellati tutti nomi leziosi da vecchia zia giardiniera.

Ecco qui sotto, a proposito, le mie colombine, nate da seme, ora al secondo anno. All’ombra luminosa hanno finalmente trovato requie e un loro ubi consistam (consistant?).

Ci sarebbero millanta altre cose da fotografare. Ma il tempo deficita. Per elencare solo quello cui ho atteso oggi: diserbo manuale; innaffiatura dei vasi; divisione e trapianto di alcuni cespi di settembrini (sarebbe un po’ tardi, ma sono robusti e tollerano ogni strapazzo); semina di Cobaea scandens; ramazzata di foglie e semi del ligustro; lotta manuale contro cavallette, bruchi  e criocere del giglio; vangatura di un fazzolettino di terra; eliminazione delle foglie più deturpate delle malvarose (Puccinia malvacearum impazza e furoreggia!); controllo del vicino con la coda dell’occhio (onde evitare che diserbi con veleni il marcipiedi di fronte a casa, dove sono nati da sé papaveri, speronelle, calendule, lobularie, papaveri della California…).

Ecco però un ultimo scatto: una delle tante piantine nate in crepe e fessure, in questo caso una bocca di leone.

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Congedo all’estate

Si intrecciano a quelle autunnali le ultime fioriture delle perenni e annuali estive. Mi sembra un arrivederci…

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Coreosside. Un giallo praticamente perfetto.

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Solita, unica, pianta di gaillardia. Sono tinte che non sceglierei, ma a caval donato (dal vento) non si guarda in bocca.

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Gaura. Ne ho di due colori. Questa, ‘Alba’, è superlativa per ramificazione e rifiorenza. Peccato che sia l’altra – di un colore tra porpora e rosa – a essersi già disseminata in giardino.

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Cosmos da seme. Mi hanno fatto dannare per tutta l’estate. Alcuni sono collassati dopo un temporale, altri sono seccati all’improvviso (temo per una malattia tipo verticilliosi o simile), altri hanno stentato a fiorire tutta l’estate, mettendo solo foglie (piumose e leggiadre, ma… pur sempre foglie; motivo? Forse acari o eccesso di azoto nel terreno). Adesso che sono riprese le piogge, sono letteralmente rinati. Era ora!

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Fuochi d’artificio: il botto finale.

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Inizio settembre: è ancora estate…

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Pomodori: hanno qualche crepa, ma direi anche troppa grazia, visto che parlare di squilibri idrici è un eufemismo…

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Sublime gaillardia, nata da sé.

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Giovin rosa, il vergin seno / Schiude appena al ciel sereno / E già langue scolorita / Preda al vento struggitor; / Ah’, l’aurora della vita / È l’aurora del dolor!

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Rosa ‘Botticelli’ di Meilland.

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Centranthus ruber, o valeriana rossa: portata dal vento, trasferita in vaso perché non andasse pestata, ora in fiore.

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Settembrino senza nome…

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Belle di notte. Lussureggianti e al limite dell’invasivo.

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Delosperma cooperi, altro grande classico nei giardini veneti.

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Oleandro. Finalmente guarito (a furia di rame) da una malattia crittogamica da cui era affetto quando l’ho ereditato, insieme alla casa e al resto del giardino.

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Hibiscus syriacus. Ne ho tre di questa tinta, in vaso, nati da seme. Dovrò trapiantarli, ma… dove? Non c’è un posto assolato libero…

Scorpacciata.

Che aspetto minaccioso!

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Apice dell’estate

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Petunie dono dal vivaio Degl’Innocenti, dove ho ordinato qualche giaggiolo.

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Cosmos.

Gladiolo comprato da Raziel.

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Petunie.

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Ibisco nato da seme. Un grande classico, in questa tinta, nei giardini di campagna e suburbani qui in Veneto.

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Infaticabili portulache.

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Tagete da seme (Thompson-Morgan), giallo canarino chiaro; seminato in giugno, molto tardi…

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Quando si dice giardino spettinato…

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Arruffamento massimo.

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Giardino spelacchiato e un po’ riarso.

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Fioriture intrecciate, a cascata: un caos.

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Le ipomee, a furia di innaffiarle, si sono liberate dal ragnetto rosso; ora si salvi chi può…

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Cassetta di tagete. Non mi piacciono quelli color mattone. Di tutti apprezzo l’odore verde ficcante.

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Garofanino giunto chissà donde.

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Achillea da seme. Vera xerofila, o pianta da xeriscape com’è più di moda dire. Ama cuocersi al sole, coi piedi tra i sassi.

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Una graziosa brassicacea

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Alisso o lobularia, della stessa famiglia dei cavoli. Piccola tappezzante da zone assolate. Profumo intenso, inebriante, di miele. Come si vede nella foto sotto, gli/le basta una fessura per spuntare, anche sul marcipiedi (zelanti vicini di casa armati di diserbante permettendo…).

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Mirabile…

Una pianta da ammirare per molti motivi. Facile, sana, prodiga, prolifica, profumata. Rustica, quello no; ma è molto facile ottenerla da seme di anno in anno, o conservarne i tuberi per ripiantarli, come le dalie.

In realtà il nome latino, Mirabilis jalapa, le viene dalle straordinarie prerogative di trasmissione genetica dei caratteri, che si sottraggono in parte alle classiche leggi di Mendel. A differenza dei fiori dei piselli, studiati dal celebre monaco-scienziato, le belle di notte si screziano in mirabili variegature di generazione in generazione. Volendole tutte di un colore puro di stagione in stagione occorre raccogliere con pazienza solo i semi prodotti da piante con infiorescenze di una certa tinta. Impresa da Sisifo, dato che le piante si riseminano da sé a profusione. Esistono anche selezioni monocromatiche; Chiltern Seeds, ad esempio, ne ha una rosso rubino, quella della prima foto qui sotto.

I semi sono molto belli: sembrano piccole bombe a mano nerastre; sono abbastanza cicciotti, quindi facilmente maneggiabili e seminabili. Io non mi prendo più la briga di spiccarli e preservarli, lascio che le piante rinascano a loro talento. Questo metodo, utile anche con le aquilegie e le digitali, fa sì che le piante nel corso degli anni si spostino là dove trovano condizioni ideali. Mi pare che per le belle di notte si tratti delle zone luminose ma un po’ schermate dai raggi cocenti agostani, che le afflosciano un po’ troppo.

Gli inglesi le chiamano four-o’-clock-flowers: sono fiori serotini e notturni. Mi piace aspirare la loro fragranza fruttata tornando da una passeggiata serale, lasciandomi stordire per qualche istante.

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Encomio delle petunie vecchio stile

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Vi elogio, petunie prodighe, esuberanti, indefesse. Il caldo di luglio sprigiona dai vostri fiori nubi odorose dense e fluttuanti. Avete colori pastello poco vistosi se non per l’accumulo di corolle molteplici. Tutt’altra cosa le cascate porpora e fucsia delle surfinie che ha la vicina, festoni che si avvistano già dall’imboccatura della via. Non vi trovo un difetto: siete memoria vivente dei giorni quand’ero bambino.

Se mi scrollo di dosso i sogni nostalgici, vi metto però a fuoco col senno del giardiniere. Vi ho messe in cassette troppo strette e vi bagno e concimo copiosamente due volte al giorno, ma già scorgo l’insidia: qualche foglia ha macchie sospette, tra non molto esploderà una qualche crittogama, forse mal bianco. Meglio godere della vostra grazia finché dura.

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Passando all’estate…

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Pian piano, senza strattoni, dalla primavera passiamo all’estate. Il giardino è un vero tripudio. Non mancano, comunque, zone spelacchiate e i prodromi di alcuni problemi che presto esploderanno: la pullulazione di cavallette – sia Calliptamus italicus sia Barbitistes vicetinus – si appropinqua all’akmé; le foglie di svariate specie (comprese le peonie e le rose) cominciano a mostrare i segni dell’attività dei ragnetti (rossi, gialli, bimaculati – per brevità dico sempre ragnetti rossi); qua e là si forma qualche macchia fogliare o zona feltrosa bianca nelle zone in penombra… So che a breve, malgrado qualche mio tentativo di trattare con olio bianco estivo, le mie ipomee e le portulache daranno segni di cedimento sotto gli attacchi feroci dei piccoli, malefici aracnidi. Solo annaffiature fogliari frequenti mi permetteranno di tamponare l’esplosione demografica, ma i segni di ripresa sulle piante si vedranno dopo un po’…

Per ora voglio solo godermi le mie portulache, che sono davvero al massimo. Hanno foglie turgide e lucide, fiori enormi, begli steli rosati. Un vaso con sole quattro piantine riempie di gioia coi suoi colori sgargianti e un po’ chiassosi, ma mai eccessivi.

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Hydrangea arborescens ‘Annabelle’

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Rosa ‘Queen Alexandra of Kent’

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Lilium candidum, con immancabili antofagi

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Selva di speronelle blu-viola su cortina di prezzemolo lasciato andare a seme

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