Hortus Incomptus | giardino della nonna
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Fioriture novembrine

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Tlaspi o tlaspo, nome che indica anche altre crucifere, sia in italiano che in greco. Questo è il tlaspi d’inverno, piccolo arbusto spontaneo in certe zone d’Italia, su rupi assolate e sassose, ma coltivato da tempo immemore nei giardini della nonna, in vaso, per esibirne la fioritura in pieno inverno. Fiorisce, infatti, tra novembre e aprile. Mi piace l’asimmetria dei petali, due dei quali si allungano a linguetta verso l’esterno. Botanicamente, il tlaspi d’inverno è un tipo d’iberide: Iberis semperflorens. Il genere comprende anche Iberis umbellata, che fiorisce in primavera-estate e si risemina da sé con facilità; Iberis gibraltarica, endemica nella zona evocata dal nome specifico; Iberis sempervirens, a volte confusa con la semperflorens: la prima forma un cuscinetto sempreverde che reca in primavera candide infiorescenze che le hanno guadagnato l’appellativo di “fior di neve”, la seconda si distingue, appunto, per l’andare a fiore in un periodo un po’ sguarnito e disadorno. Il tlaspi d’inverno predilige un sostrato calcareo e non teme la siccità. Si riproduce senza fallo (o quasi) per taleaggio. Non è esente da pecche: tende col tempo ad assumere un aspetto scarmigliato e sparuto, per cui conviene rinnovare le piante con regolarità.

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Astri protagonisti

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Un’estate impietosa con punte oltre i quaranta gradi, che ha rinsecchito e bruciacchiato le foglie delle alberature stradali, mi ha costretto a lavori forzati in giardino e a questo lungo silenzio, che mi piace ora rompere con un post sugli astri annuali. Ne ho di bianchi, porpora, carminio, fucsia, rosati. Il mio preferito è quello della foto qui sopra, carnicino e madreperlaceo: una delizia.

Le poche piantine di cui dispongo le ho seminate in marzo, aprile e maggio, a più riprese, in modo da averne in fiore lungo tutta la stagione. Ce n’è un tipo a margherita, che con la sua compostezza da fiorellino mansueto mi pare circonfuso del pudore virginale di un’educanda; e ce n’è un tipo più sofisticato e pretenzioso, dai bei petali cicciuti a mo’ di dalia o peonia, che ho ritratto negli scatti di quest’articolo.

Gli astri sono – giusta l’etimo – vere stelle in giardino. Lo illuminano soprattutto nel trapasso da estate ad autunno. Se ne fanno mazzetti dal sapore rustico, in stile donzelletta che vien dalla campagna. Mi ricordano tanto la nonna, che un tempo regnava s’un ampio orto-giardino in cui le verdure avevano la meglio (l’ovvio pragmatismo di chi ha sofferto la miseria) ma erano inframmezzate da fiori, soprattutto da taglio, per farne mazzi da portare in cimitero. Ricordo i gigli di Sant’Antonio, le calendole selvatiche, i garofani dei poeti, le calle con le loro spate candide, le verbene, i “becchi” (nome locale del tagete).

Non sono difficili da ottenere partendo da seme, gli astri. Conviene scaglionare le semine, da marzo a maggio, per averne sempre, e poi trapiantare al sole o a mezz’ombra. E se si teme il tremendo Fusarium oxysporum callistephi, tra le poche malattie degli astri, conviene comprare semente garantita e piantarli in vaso con terriccio che non contenga terra (in Italia, qualsiasi terriccio commerciale non ne conterrà, essendo a base di torbe o – nella migliore delle ipotesi – fibra di cocco; all’Estero, le composte John Innes ne contengono, ma sono sterilizzate, per cui il risultato è garantito comunque).

Un’ultima osservazione. Li ho chiamati astri, con l’eventuale appendice di “annuali”, mentre tassonomicamente sono Callistephus sinensis (donde l’altra denominazione volgare “astro cinese”, o “astro da China” in qualche vecchio catalogo…); l’aggiunta di “annuale” o “cinese” non è esornativa, ma serve a distinguerli dagli astri perenni, non foss’altro che quest’ultimi adesso non si chiamano più Aster ma Symphyotrichum, salvo alcuni. Un bel guazzabuglio!

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Résumé dell’ultimo mese

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Rapito dal fascino ambivalente dei malvoni (sgraziati e leggiadri, facillimi e insidiosi, superati e sempre attuali), l’estate scorsa ne ho seminati un po’ della serie ‘Halo’, trapiantandoli in un fazzoletto riarso e petroso tra il lillà e una fila bassa di rose, a fare da quinta o cuscinetto. L’allegro assembramento di steli gagliardi si produce in questi giorni in uno spettacolo multicolore che alletta api e farfalle. Le piante sono coriacee e, pur essendo allampanate, hanno un fusto che non si piega qual canna al vento, ma si flette solo un po’ per le raffiche, restando ancorato saldo al terreno. Sono rotte a tutto; sfigurate dalla ruggine, crivellate dalle cavallette, smerlettate dagli antofagi: ma eccole sempre lì, che svettano invitte. Quando ho visto le pustole di ruggine picchiettare le foglie, a inizio stagione, ho avuto l’impulso iconoclasta di sradicare tutto: per fortuna mi sono frenato. La ruggine ha allignato, eppure le piante – per quanto  imbruttite e malconce – ancora non si dànno per vinte. Anche i ghirigori degli insetti che sforacchiano le foglie paiono recare più fastidio all’occhio del giardiniere esteta che vero guasto alle funzioni vitali delle piante.

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Nei vasi prosperano le dalie, cotte dal sole, e le ortensie, in un angolo fresco e ombroso. Le dalie sembrano ancora indenni dai soliti noiosi ragnetti, che causano chiazze depigmentate sulle foglie. Le ortensie si esibiscono in sfere fiorite inusitate, fuori misura rispetto ai vasetti di coccio in cui sono costrette. Hanno qualche foglia necrotica: purtroppo sono intervenuto tardi in loro soccorso e una prolungata clorosi ha lasciato questa traccia indelebile.

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Di sera mi piace sporgermi dal davanzale sul retro per osservare torme di rane e rospi di ogni foggia e grandezza uscire dall’aiuola umida delle pervinche o dal fresco corridoio che costeggia la casa a confine col muraglione del vicino. Col loro incedere lento a balzelli ineleganti mi suscitano un’immensa, divertita simpatia. Conto sul loro aiuto per tenere a bada il brulicare d’insetti e nemici multiformi del giardino. Ecco qui sotto uno di questi anfibi fedeli, che si è avventurato a caccia un po’ prima degli altri. Quelle horreur! Che visione turpe: il poveretto è tutto pieno di peli del mio cane, ubiquitari come i batteri. Te li ritrovi nel letto, nel piatto, in bocca, ovunque. Non si salvano neanche gli anfibi!

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Oh mamma: non si può mai star tranquilli! Sbaglio o sono chiodini? Proprio a fianco del ceppo marcescente della robinia abbattuta due anni fa. Notavo che l’ortensia bianca lì a fianco era stenterella… Ecco perché: la funesta Armillaria mellea, una vera iattura. Chissà come farò, anche perché ci sono molti altri ceppi in giardino (la betulla, i peschi, l’alloro, la magnolia: tutte essenze che ho falcidiato nella mia  follia di riforma del giardino preesistente…).  Bisognerebbe scavare, eliminare ceppi e terreno, disinfettare, non piantare per mesi.

Ho lasciato andare a seme il prezzemolo. Come tutte le ombrellifere (e le labiate), riesce irresistibile a numerosi insetti.

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Piove

Il pleure dans mon cœur
Comme il pleut sur la ville;
Quelle est cette langueur
Qui pénètre mon cœur? (Verlaine)

Il giardiniere (l’uomo?) non è mai contento. Se non piove, perché non piove. Se piove, perché piove.

Ho invocato la pioggia per settimane, che adesso mi aduggia e m’inquieta. Piove ormai quasi tutti i giorni da giorni. Rose e peonie pendono grasse e sguaiate come maschere sfatte. Facelie e coriandoli svettavano al cielo ma adesso la pioggia li preme e li alletta pesanti per terra. Arrivano spore di funghi e si posano e aspettano; se ne stanno come in erba l’angue in agguato; al primo sole sarà tutto un fiorire di chiazze e di macchie.

Tolgo dai vasi in balcone le violacciocche, scomposte, sparute, sfiorite. Ne viene un mazzetto, fâné. Mi par degno di foto, così lo immortalo. S’intona col grigio di fuori, di dentro, di tutto. Non mi scuce un sorriso ma solo mestizia. Invocherò adesso il sole, come ho invocato la pioggia. Che tronchi la litania balbuziente di questa tristezza.

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A would-be cottage garden?

How many kinds of sweet flowers grow

In an English country garden?

We’ll tell you now of some that we know,

Those we miss you’ll surely pardon.

Daffodils, heart’s ease and flox,

Meadowsweet and lady smocks,

Gentian, lupine and tall hollyhocks,

Roses, foxgloves, snowdrops, blue forget-me-nots.

In an English country garden… (canzone tradizionale)

Malvarose (hollyhocks), garofani, violacciocche, rose, fanciullacce (love-in-a-mist), giuliette (Canterbury bells)… e quest’anno ho perfino le digitali (foxgloves)! Gl’Inglesi hanno tutta la mia ammirazione; cerco d’imitarli, ma c’è una cosa che qui non abbiamo: il clima! Da noi purtroppo non piove anche per quaranta giorni filati… Tornando al cottage garden, mi riprometto di seminare anche Hesperis matronalis, che non può certo mancare in un old-fashioned garden.

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Nigella damascena, vulgo fanciullaccia. Nata in una fessura.

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Peonia bianca. Merita un anno di attesa…

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Digitali da seme (Chiltern seeds).

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Mi piacciono ma non so che cosa siano, purtroppo…

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Prime roselline.

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Achillea di tra i papaveri.

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Soliti, immancabili garofanini.

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Ancora loro. Che profumo!

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Bocche di leone che occhieggiano dalla ringhiera. Fiori dal cemento, dalle crepe, dai posti più impensati. Una metafora potente, che ci dà speranza per i gretti, i piccini, gl’ipocriti che abbondanti ci circondano… Possono spaccarsi e fiorire anche le più granitiche anime di pietra.

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Un boschetto di garofani tra la verzura.

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Le giuliette

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Come potrei non amare le giuliette (Campanula medium)? Sono biennali da giardino della nonna, volendo ottimi fiori da taglio. Le si semina d’estate, in posizione riparata. I semini sono molto piccoli. Poi si ripicchettano magari in vasettini singoli (per i bravi, io quest’estate sono stato cialtrone) e appena fa un po’ più fresco, a inizio settembre, si piantano nella sede definitiva, al sole. Amano il terreno un po’ calcareo. Devono avere il tempo di accestire per bene prima dei geli, altrimenti non hanno energie sufficienti la primavera successiva per fiorire. Non mi risulta che si ammalino: a me è successo solo con qualche pianta che all’improvviso è imbrunita e collassata (penso il responsabile sia qualche crittogama risalita dalla radici: colpa del compost di mamma!). Viva le giuliette, semplici o doppie!

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violacciocche

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Ho una vera ossessione per le biennali (e altre annuali o perenni trattate come tali). Sin da quando seminavo e trapiantavo i garofanini dei poeti d’estate nel giardino dei miei, da bambino e adolescente. La passione si perpetua. I motivi sono fondamentalmente due: in primis si seminano in un periodo lavorativamente tranquillo (d’estate), con tutto il tempo di accudirle come si deve, in secundis sono tra le piante che meglio educano il giardiniere a esercitare a una delle virtù che più lo caratterizzano: la pazienza, visto che occorre aspettare che sia passato l’inverno per vederle fiorire.

Col termine “violacciocche” si designano due specie, in realtà: Matthiola incana e Cheiranthus cheiri (syn. Erysimum cheiri). Si somigliano, ma le prime hanno tipicamente tinte romantiche dal bianco al viola intenso (sono le stocks dei vecchi giardini inglesi), le seconde colori sgargianti e sfacciati dal giallo al rosso mattone. Sono entrambe brassicacee (o crucifere): come i cavoli, sono forti consumatrici di sostanze nutritive, e come i cavoli possono essere preda di cavolaie e altre pieridi. Sono calcofile, sicché mi piace mescolare al terreno in cui le metto a dimora un po’ di cenere di stufa (che andrebbe setacciata per eliminare i carboni, ma il mio spartano armamentario da giardiniere non comprende setacci, per ora…).

I semi delle violacciocche delle foto di oggi recavano sulla busta la dicitura “violacciocche di Nizza”. Le piantine sopravvissute alla calura estiva, al trapianto, all’inverno, a un’insidiosa e ostinata malattia fungina (credo si sia trattato di Peronospora matthiolae) sfoggiano fiori vinaccia e magenta. In teoria dovevano essere di vari colori, ma l’esito è stato questo: le due mattiole in vaso sono uscite magenta, le otto-dieci piantumate in un’aiuola sono risultate vinaccia. Meglio così: effetto più compatto e meno volgare. La natura a volte crea un effetto estetico più equilibrato di quello cui mira il giardiniere.

Mi viene in mente, a proposito, che la volgarità è uno dei grandi rischi dell’arte orticola (si dovrebbe dire così, giacché hortus è l’orto-giardino, come il garden, mentre molti adottano il nuovo conio “giardinicolo/giardiniero”, che a me non piace).

Dicevo: la volgarità, da cui non mi proclamo esente (come non sono esente in giardino da ingenuità, negligenza, leziosità, barocchismo, autoreferenzialità), è uno dei grandi rischi orticoli. Credo che evitare – per quanto possibile – il colore rosso possa aiutare, specialmente in un giardino di ridotte dimensioni. Come aiuta astenersi dal conformismo e dalla moda, scegliendo in base al gusto e non al mercato.

violacciocche di Nizza

violacciocca di nizza

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lillà

Altra presenza gradita ereditata dal passato e molto “giardino della nonna”: un bel lillà bianco. Dopo la fioritura mi sono ripromesso di potarlo – col rischio di vederlo fiorire pochissimo l’anno prossimo; ma non si può lasciarlo così: ha due branche principali molto grosse e sgraziate visto che l’esemplare non è alto. Poi ci sono un’infinità di polloni tutt’intorno: ne dovrò estirpare alcuni, ottenendone magari nuove piante da regalare (non mi risulta ci sia posto per ospitarle, qui da noi).

Un tempo non avevo interesse per questa pianta, ma adesso che ne ho una ne sono conquistato. Ha tante virtù dalla sua: è sobria nel portamento, robusta, profumata, esuberante nella fioritura. Da me si è ammalata due volte, ma in genere è resistente. La prima volta, dopo la prima potatura un po’ casuale, l’anno scorso, con cesoie non affilate e non disinfettate (la fretta durante e appena dopo il trasloco!) ha subìto un attacco credo batterico, che ho combattuto con rame e Bacillus subtilis ceppo QST 713; poi è stato preso d’assalto (come il resto del giardino) da cavallette e cimici, che ho dissuaso con tre trattamenti con spinosad e piretro, abbinati alla lotta manuale (lavoro ingrato ma l’ambiente ringrazia).

Tornando ai meriti delle siringhe della nonna, la maggiore è probabilmente il profumo – davvero celestiale. Sono contento che i miei predecessori avessero scelto un esemplare dalla fioritura bianca, al posto del più classico tinta – appunto – lilla. Adoro il bianco in giardino, come molti più grandi prima di me (viene in mente Sissinghurst…), se non fosse che ne hanno fatto e fanno largo uso certi architetti poco giardinieri, con la tendenza ad abusare del verde e del bianco.

Non sono l’unico ad amare il lillà: ci sono anche molte farfalle e qualche coleottero antofago, che non reca gran danno.

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Risveglio di primavera:
la natura fa da sé

C’è sempre troppo poco tempo per il giardino, e anche le forze deficitano. Per fortuna sembra che la natura di questi tempi sappia fare anche da sé, senza grandi interventi: sono lontane le arsure estive che rendono il mio terreno uno zoccolo granitico riarso percorso da crepe larghe due dita e che fanno dell’innaffiatura un onere imperativo ed esoso in termini di tempo ed energia. In questi giorni posso godermi i primi frutti del lavoro autunnale e dare solo qualche indirizzo alla natura, che trabocca di linfe vitali. Gli steli si sollevano, le gemme si gonfiano e aprono, le foglie sono di un verde brillante che sa di nuovo. Tutto parla solo di speranza e palingenesi.

Nelle foto qui sotto: le heuchere divise in ottobre allungano gli steli (anch’esse lascito dei precedenti inquilini, e anch’esse molto “giardino della nonna” o “delle vecchie signore”), le violacciocche di Nizza (adoro la tinta di questo particolare esemplare…), una pratolina, un altro narciso (con i petali merlettati da una neanide di Barbitistes vicetinus – And his dark secret love/Does thy life destroy…), uno dei moltissimi esemplari di papavero selvatico nati dalla mia improvvida idea di spargere un po’ di semi qua e là l’estate passata, una spartana seminiera con piantine di finocchi, un tulipano viola, il turbante arancio di un papavero della California (da quei pochi che avevo seminato qua e là l’anno scorso nel prato misto fiorito antistante la casa ne sono venute quest’anno decine e decine: spuntati in autunno, ora stanno per fiorire).

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Le pulcre: un’altra bella eredità

aiuola dei giacinti

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Anche questa superba aiuola allungata di giacinti è una gradita eredità; mi riferisco alla prima e terza foto, quella centrale illustra un esemplare isolato, di tinta più carica.

Una cara amica ed esperta giardiniera mi ha detto – salvo equivoci da parte mia – che qui in Veneto una volta non c’era giardino della nonna che non avesse i suoi bei giacinti azzurri, chiamati “pulcre”. Non so se il termine sia dialettale o abbia a che fare con l’aggettivo latino; fatto sta che belli lo sono davvero. E nemmeno troppo effimeri, per dire la verità, specie se non piove per un po’. Hanno un profumo che stordisce perfino quando lambisce a ondate ed effluvi le stanze del primo piano. L’azzurro tenue (carta da zucchero?) crea un bel contrasto con le composite spontanee gialle che sono al primo ciclo di fioritura e già attirano veri e propri sciami di api.

Molti storcono il naso, ma a me piace lasciarle dove sono, le composite dico: hanno un ciclo vegetativo piuttosto breve, sono allegre e chiassose (di fiori gialli si sente particolarmente bisogno in inverno e primavera, trovo, e le api credo siano d’accordo), non disturbano perché riempiono angoli e fessure altrimenti disadorni – ivi compreso il margine tra marciapiedi e muretto del mio giardino. La cosa ha indispettito il vicino di casa, che ha prontamente sparso diserbante sul marciapiedi, anche davanti a casa mia – ahimè –, e mio padre, che – incaricato di una piccola commissione – non ha resistito invece alla tentazione iconoclasta di fare piazza pulita delle “erbacce” e di redimere il bordo dell’impiantito. Amen.

Qui sotto la foto di un angolo che in primavera mi piace lasciare alle composite gialle, di cui ignoro la specie; nella seconda foto compaiono insieme a pratoline e trifoglio, in un prato misto che sembra ricamato. Sono tra l’altro facilissime da estirpare, volendo, perché vengono via a ciuffi con la rosetta basale al solo tirarle per lo stelo fiorifero, specie se il terreno è un po’ umido o anche solo in tempera. Insieme ai numerosissimi tarassachi creano belle distese e macchie di giallo canarino carico che dànno una bella sferzata di joie de vivre, dopo le tetraggini invernali. Ribadisco: le api sembrano esser d’accordo.

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Viole

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Non sono un grande esperto di viole, ma qui ne ho trovate parecchie. Ne nascono un po’ in tutti gli angoli, quasi tutte sono di colore viola scuro e hanno il classico profumo di violetta (come quelle della seconda foto). Sono violette spontanee, portate dal vento, o forse propagatesi a partire da qualche esemplare piantato qua e là chissà quanti anni fa. Purtroppo, si trovano anche in posizioni non proprio propizie. In effetti, nel corso della stagione, finite le tiepide giornate primaverili, si ustionano e seccano al sole. Tra l’altro da me hanno la tendenza ad ammalarsi di ramularia, sicché si seccano ancora di più. Per non farci mancare niente, ce n’è un gruppo che credo abbia un virus, ma mi spiace strapparle ed eliminarle, anche perché sembrano fiorire senza problemi. A tutto questo si aggiunge che, avendo già tante cose da innaffiare e non volendo sprecare acqua, le abbandono al loro destino fino ai primi acquazzoni di fine estate. Devo dire che sono molto, molto resistenti e sembrano sopravvivere a ogni privazione.

Ogni tanto, anche se non succede spesso, mi lascio tentare e acquisto qualche violetta nei soliti vasetti alveolati di plastica, come quelle della prima foto. Se ne trovano davvero di ogni colore, anche banalmente sulle bancarelle. Di solito non mi piace acquistare piante già pronte, preferisco la semina, la divisione, la talea. Ogni tanto però si può fare…

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Una bergenia apre il nuovo anno in giardino

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Questa bergenia l’ho ereditata, come molti altri fiori e piante, da chi ha abitato qui prima di noi. Era parecchio malridotta e – confesso – avevo quasi sperato non superasse l’inverno, preso da tante altre piccole incombenze volte a dare una sistemata al giardino-giungla. L’avevo lasciata del tutto senz’acqua per due interi mesi invernali, in una serretta non riscaldata (anche se è perfettamente rustica, l’avevo voluta mettere lì, in attesa). La primavera scorsa l’ho spostata, senza tanta convinzione, col suo vecchio vaso incrostato, in un angolo a ovest, dove è stata biscottata per bene dal sole estivo di tardo pomeriggio. A fine estate, le foglie ormai incartapecorite ma ancora pervicacemente attaccate alla vita, è stata finalmente trapiantata dal suo scriteriato proprietario. Non mi suscitava grande interesse, a dire il vero: era solo una delle tante piante rétro che ho trovato comprando casa. Però la sua tenacia refrattaria a ogni bistrattamento qualche simpatia cominciava ad accendermela. L’ho piazzata in un vaso più grande, potando foglie e radici, pressando senza tanti riguardi, e aggiungendo solo un po’ di compost a uno dei soliti terricci torbosi in commercio. Ha trascorso un secondo inverno, questa volta con saltuarie innaffiature. A un anno esatto dalla prima volta che l’avevo adocchiata, mi ha ricompensato di quel po’ di fiducia che le ho concesso. Una fioritura molto esuberante e sana, come si vede dalle foto. Dopo questa bella sorpresa mi sono ripromesso di recuperare e dividere altre bergenie che ci sono qua e là in giardino, per ripiantarle in vasi con terreno buono e tenerle in posizioni riparate dal sole eccessivo e dalle lumache, per spostarle magari in gruppo un po’ più in vista quando fioriscono, per un breve ma intenso show.

Le bergenie sono molto diffuse nei vecchi giardini, qui in zona. Nei tristi giardinetti di alcuni condomìni ce ne sono intere distese, spesso all’ombra. Formano come un tappeto di orecchie d’elefante verdi, belle coriacee e resistenti. Solo il sole inclemente e il secco prolungato le intristiscono, anche se un po’ di foglie gialle e secche sono soltanto il segno del fisiologico ricambio stagionale. La fioritura può essere di più colori, anche se qui da noi il colore che si vede di solito è lo stesso delle mie foto. Credo che anche queste piante démodé meritino un revival un po’ più entusiastico di quello che – è pur vero – le ha riguardate di recente… Vorrei magari provare una varietà a fiori bianchi: vedremo…

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