And then some day you’ll pass my way …
…
See gold and crimson, bell and star,
And catch my garden’s soul, and say:
‘How sweet these cottage gardens are!’
(Edith Nesbit)
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See gold and crimson, bell and star,
And catch my garden’s soul, and say:
‘How sweet these cottage gardens are!’
(Edith Nesbit)
Qualche sprazzo di sole di tanto in tanto si apre e illumina una distesa di fiori presi d’assedio da bombi, api, sirfidi. Non sempre riesco a ripescare per tempo la macchinetta, sicché le foto spesso hanno luce fredda, da cielo velato o coperto. Le temperature restanto basse e il terreno è zuppo. Il giardiniere si dedica solo ai vasi e si rinfranca per le fatiche future…
Oggi, al ritorno da un breve viaggio per motivi di studio, ritrovo il giardino in pieno rigoglio; ci sono stati tre o quattro acquazzoni che finalmente hanno intriso per bene d’acqua il terreno che ormai supplicava pietà dopo mesi di arsura.
Mi rincresce solo per la distesa fiorita di fronte a casa, che l’anno passato era molto più variegata, mentre ora è una distesa di soli papaveri della California, tutti tinta arancio – a séguito dello scavo eseguito con un mostro meccanico quest’inverno. Evidentemente tutti gli altri semi sono più deboli, o i papaveri della California sono veri eroi dell’autodisseminazione.
Eccoli qui che si bevono il sole a petali ben divaricati, tutti dritti come soldatini. L’aiuola così monocroma, monotona, monocorde non l’avrei voluta. Ho provato a prevenire e rimediare seminando a spaglio papaveri di altri colori, fiordalisi, e praticamente tutti gli avanzi di sementi che ho ripescato dal bussolotto di latta che ho adattato alla bisogna. Pazienza: conviene far buon viso e godersi questo colore intenso, squillante ma ammorbidito dalla consistenza ora cerosa ora sericea ora di velluto. Non conosco altri fiori con la stessa tinta e tessitura.
Però, ecco: vedo occhieggiare qua e là qualche cenno di altri fiori. Alcuni li conosco, altri no. Vedo qualche ciuffetto di Saponaria ocymoides e uno o due timidi fiordalisi. Per il resto, il rettangolo centrale dell’aiuola è davvero una prateria arancione.
Posso dirmi abbastanza soddisfatto di quel che son riuscito a fare per il giardino. Tutto sommato, non è così male. Certo, ci sarebbero ancora infinite modifiche da apportare, ma mi piace anche centellinarmi gl’impegni su tempi lunghi, per avere sempre un progetto in cantiere, una speranza in serbo. Poi, si sa, se si hanno occhi per vedere, in un giardino come in una casa, non si può mai dire di aver finito. Ed è questo uno dei motivi che mi fanno amare il giardinaggio: mi sento come “trasportato in avanti”, sostenuto nello scorrere del tempo da un’ininterrotta progettualità. Vado a letto la sera enumerando mentalmente i lavori in sospeso e mi addormento col sonno dei giusti sapendo di aver così tanto da fare e dare. Se mi aggredisce l’apatia o lo spleen, come a tutti almeno a volte succede, non ho che da guardarmi attorno per ritrovare la spinta ad agire, accumulando una stanchezza fisica che aiuta a dissipare le nebbie mentali o spirituali. In fondo, è una manifestazione del concetto di cura, che non può mai venir meno finché c’è vita. Può suonare blasfemo, ma è un po’ come l’amore parentale: cessa solo quando intercorre la separazione ultima.
Passando alla prosaica realtà…
Nel lato est il rosmarino, liberato dall’ombra molesta di un alloro fuori misura infestato dalla cocciniglia, ha ripreso a fiorire allegramente. La bordura di settembrini e rose che ho in mente per il confine è ancora in fieri: i settembrini li ho in parte comprati, in parte ottenuti da divisione dei cespi di piante esistenti; le rose da bordura, scelte tra quelle robuste e shade tolerant, le pianterò quando avrò tempo e denaro, in ogni caso dopo che gli organismi del terreno avranno un po’ degradato gli essudati dell’alloro e di alcuni vecchi cespugli di rose che ho espiantato. Infatti, sotto l’alloro non cresce proprio nulla per un bel raggio, mentre dove c’erano le rose non c’è questo problema, ma occorre comunque evitare il rischio di rigetto che si presenta talora al trapianto di una rosa laddove ne era vissuta un’altra. Per ora nelle aiuole che accoglieranno, finanze permettendo, le rose, ho seminato un miscuglio tipo sovescio, con molte piante mellifere. L’aiuola delle bocche di leone, stremate da un’ultima virulenta fiammata di ruggine (Puccinia antirrhini) lo scorso ottobre, è sparita, soppiantata da crisantemi che ho diviso. Le giuseppine ch’erano sotto l’alloro ora sono offese dal sole diretto e converrà trapiantarle (credo in vasi, da aggiungere nelle zone ombrose dove già ne ho diverse). Sempre a oriente, l’aiuola disordinata in cui crescevano Physalis alkekengi, peonie, Arum dracunculus, una rosa stentata, violette e molte erbacce è diventata un angolo ordinato con giuliette, settembrini, gigli di Sant’Antonio. Qua e là spuntano in ogni caso speronelle e fanciullacce (Nigella damascena), che devo far attenzione a non eliminare col diserbo (manuale). I gigli sono preda della criocera, manco a dirlo, ma per ora mi sto arrangiando con la lotta diretta (leggasi: stritolamento delle bestiole laccate di rosso tra le dita, con gran spargimento di sughi scarlatti). La magnolia non c’è più, sicché c’è più luce e spazio radicale per l’ibisco bianco, la deutzia, il gruppettino di lillà bianchi. Sempre lungo il lato est, si nota un attacco di ruggine alle pervinche, che fioriscono lo stesso. Nell’angolo in ombra: menta, melissa, colombine, prezzemolo che sale a seme. Lungo la casa, dove vorrei un giorno creare una bordura di ortensie, rispuntano le calle semideistrutte dal gelo, fiorisce Iberis sempervirens (mentre I. semperflorens è al termine), accumulano risorse per il futuro giacinti e narcisi, si apprestano a fiorire rose e garofanini dei poeti, oltre a un mare di giuliette (avrò esagerato?). C’è poi la zona delle peonie. In autunno le ho concimate con guano e cenere. Per carità, sarebbe stato meglio usare le scorie K (ex scorie Thomas), ma non disponendone ho cercato qualcosa che avesse buona dotazione di fosforo (per le radici) e potassio (per i fiori). Chissà…
C’è poi il lato sud, sul davanti. Quest’inverno avevo vissuto un piccolo lutto perché questo fazzoletto – dove l’anno scorso erano fioriti fiordalisi, papaveri, garofani, achillee, margherite, coreossidi e millanta altre specie, che si erano riseminati abbondantemente – per colpa di una perdita ha dovuto subire uno scavo con un escavatore meccanico che ha distrutto tutto. Temevo un deserto, quest’anno, ma la zona si è ripopolata velocemente di papaveri della California: sono nati a centinaia, fitti fitti, e non ho avuto cuore di diradarli. L’effetto sarà meno variegato e c’è il rischio che le piante si ammalino, così ravvicinate: vedremo! Sempre sul davanti, sono in fiore le facelie e uno o due giaggioli del tipo Iris pallida dalmatica, solo in parte scampati allo scavo, e forse ancora troppo deboli per una degna e ricca fioritura. Profumo sottile e dolce.
Il lato ovest è massacrato da un’epidemia feroce di ruggine delle malvacee. Puccinia malvacearum: famigerata compagna delle malvarose come la macchia nera lo è della rosa. L’anno scorso non aveva fatto notare la sua presenza e i miei malvoni, nati da sé da semi portati dal vento, erano fioriti belli sani senza ruggine persino a mezz’ombra. Quest’anno, invece… un disastro. Si fa presto a dire: eliminate le foglie colpite; da me non ci sono in pratica foglie indenni. Eppure, ho scelto di non intervenire, perché gli steli fiorali si stanno già preparando e sembrano molto grandi e pieni. In ogni caso, a fine stagione eliminerò tutte le piante e trapianterò – se l’avrò seminata – la cugina rust resistant, Althaea (o Alcea: solito guazzabuglio botanico-tassonomico) ficifolia, accontentandomi dei suoi fiori più semplici e dei colori meno attraenti. Stessa cosa farò per le bocche di leone, vittime della ruggine pure loro, sostituendole con piantine di una varietà resistente che ho già seminato.
Come sono prolisso! Tra l’altro sembra che il giardino sia enorme, mentre è davvero minuscolo!
Qui di séguito qualche foto.
Giornate terse, caldo ancora sopportabile, tanti fiori che si succedono. La facelia seminata da poche settimane è già in fiore e attira, come da copione, api e altri insetti. Non così tante api come mi sarei aspettato, considerando la fama di pianta mellifera della facelia. In ogni caso, va in fiore rapidamente e altrettanto rapidamente sfiorisce.
In un angolo ombroso e fresco si rintana un rospone. I malvoni (che nome sgraziato!) o malvarose (ben altra cosa, ma sono sempre loro!) sono ormai in fioritura: alte colonne di un rosso rubino che non è che mi aggradi poi tanto… ma sono nate da sé, sicché non resta che ringraziare e stare a osservare se e quanto si allargheranno o ibrideranno negli anni a venire. Ci sono poi le prime ipomee, una vera iattura: si riseminano allegramente di anno in anno e da me sono uno dei banchetti preferiti del ragnetto rosso. Infine, ci sono ancora le spighe fitte e ramificate delle speronelle, tutte viola-blu.
Nascosti da fronde e frasche, negletti, in ogni modo osteggiati da un ortolano fallito, che agli ortaggi preferisce i fiori, riescono comunque sparuti frutti della terra: pomodori, cipolle, barbabietole di Chioggia (dai cerchi concentrici bianchi e rosa).
Ecco i miei passi giapponesi attraverso il giardino di fronte, in una foto alla luce serotina. Si prefigura il caos vegetale, la giungla che il giardino diventerà a luglio. Per ora ha un che di fatato e come di sospeso.
Ho acquistato qualche esemplare di Gaura da piantare in vaso. Vedendola in auge nelle aiuole di città – ormai molto ben progettate, sicuramente da paesaggisti – mi dava l’impressione di pianta tenace e indistruttibile. Ho dovuto scoprire che in realtà, quando sistemata nelle ristrettezze di una vaso, a solatio, necessita di annaffiature abbondanti e quotidiane. Me le immaginavo quali piante sicure in caso di vacanza breve, da poter lasciare all’asciutto per qualche tempo. Invece: fortuna che di vacanze non ne faccio, perché se si dimentica una sola sessione di bagnatura, la pianta s’intristisce e le fioriture non si aprono. In ogni caso, da un bilancio complessivo Gaura lindheimeri esce vittoriosa per le sue molte virtù e la sua estrema bellezza. Non ho pentimenti. Ne vorrei altre, ovunque. A volte mi prende un’ubriacatura per questa o quella pianta, e me ne immagino allora distese, ammassi, cascate. Ecco: un giardino tutto di gaure – un gioco da bambini fatto di asticelle sottili infisse nel terreno con sospese miriadi di farfalle di carta velina.
Portulaca: tra le poche piante che non semino e compro “pronte”, per averle presto fiorite in giardino; da me vengono prese d’assalto e quasi uccise dal ragnetto rosso, che combatto con bagnature delle foglie due volte al giorno, finché regredisce (di per sé sarebbero piante che amano il secco, ma l’ama pure il ragnetto!)
Eccezionalmente, pubblicherò numerose foto in formato gigante, in questo post. Vuole essere un omaggio alla Natura, che mi ha regalato questa primavera una distesa di fiori variopinti sul lato sud del mio fazzoletto vegetale. La cosa è nata un po’ per caso: la maggior parte dei fiori si sono riseminati da sé dalla precedente stagione. I veri protagonisti (vedettes, direbbe Maria Gabriella Buccioli) sono i papaveri della California, che stanno fiorendo e rifiorendo indefessi da giorni, contenti di non ricevere innaffiature e di vivere di un terreno parco, non concimato. L’arancio non è un colore che gradisco in modo precipuo, ma devo dire che la texture vellutata di questi fiori è meravigliosa. Altri comprimari di quest’intrico multicolore sono le calendule, il coriandolo, i garofanini dei poeti, le coreossidi, i papaveri dei campi, i fiordalisi. Ondeggiano al vento, scintillano al sole, punteggiati di farfalle e altri insetti operosi. Un vero tripudio.
Già ho intessuto le lodi delle giuliette – che di solito chiamo semplicemente “campanelle”, anche se il termine può riferirsi a centinaia di fiori molto diversi. Devo dire che si sono acclimatate molto bene e hanno fiorito con estrema generosità. Ho perduto solo una o due piante per disseccamento improvviso (dovuto chissà se a Fusarium o Verticillium). Mi è dispiaciuto molto, perché è successo poco prima della fioritura, dopo che la trepidazione e l’attesa erano montate per settimane… Sono sempre sorprendenti, le biennali: resistono praticamente senza fare una piega all’inverno e in primavera sono un’esplosione di vigore. Occorre, tuttavia, che nell’estate-autunno pregressi siano riuscite ad accumulare le necessarie energie, pena la mancata fioritura. Questione di tempismo e, come sempre, di fortuna.
C’è da chiedersi perché io non ne abbia più piante, visto che sono così belle. La risposta è presto data: dalla semina alla fioritura possono intercorrere svariate calamità. Intanto, i semini sono minutissimi e difficili da gestire; la semina avviene quando fa molto caldo, sicché basta sbagliare posizione o dimenticare un turno di innaffiatura ed è sùbito strage. In fase di ripicchettamento e trapianto qualche pianta va persa. Non mancano lumache e chiocciole appena dopo il trapianto, specie se l’autunno è (com’è di norma) umido e piovoso. Qualche pianta non attecchisce. Qualcuna non ha tempo di accestire prima dell’inverno. Infine, quelle rimaste devono ancora sopravvivere a funghi e insetti. Non che le giuliette siano particolarmente sensibili: tutt’altro. Eppure, mi sorprendo sempre di quante piante si perdano per strada… Mi riprometto, quindi, per la stagione prossima, di seminare più volte e con cura, all’ombra, e di trapiantare entro metà settembre, in posizione ben soleggiata. Mi faccio anche l’appunto mentale di provare a prevenire i funghi del terreno con un buon mix di micorrize. Speriamo bene…
Son stato fortunato: lasciando fare alla Natura, con solo qualche piccolo intervento, si sono creati due abbinamenti felici di colore. Perlomeno, a me pare che il rosso dei papaveri e il blu delle speronelle (intendo Consolida ajacis o Delphinium consolida, ossia i delfinii annuali, non quelli perenni così diffusi nei giardini inglesi) creino un contrasto efficace e piacevole. Lo dico malgrado le singole tinte, il rosso scarlatto e il blu-viola, non mi facciano impazzire, in giardino. Altra tessitura, frutto un po’ di mestiere un po’ del caso, è quella dei papaveri della California color arancio frammisti a garofanini, perlopiù rosa lilla rossi fuxia.
Con l’occasione, mi riprometto di essere meno spontaneista e naïf (anzi, meno attendista e pasticcione) e di compulsare qualche testo di teoria del colore e sugli accostamenti studiatamente organizzati per il massimo effetto estetico di armonia e contrasto. Mi viene in mente Penelope Hobhouse: la aggiungo sùbito alla to-read list. Ovviamente, consideràti il clima della mia zona, la natura del mio terreno, l’insipienza del mastro giardiniere, la personalità ora spartana ora esuberante (ma sempre incostante e volubile) del mio giardino, non mi propongo affatto di arricchirlo di bordure miste (che brutta traduzione “bordi misti”!) all’inglese. Sarà di nuovo la sindrome della volpe e dell’uva? Può darsi. Ad ogni modo, non credo che avrei la perizia e la costanza per creare e accudire una bordura mista “di scuola” (magari con le graminacee: Heaven forbid!).
Mi accontento di semplici (fortuiti) matrimoni, come questi.